DEPECHE MODE "Ultra"
(1997 )
Il disco che non doveva uscire. Alan Wilder se ne era andato, e Dave Gahan aveva anche provato, a fare qualche seduta di canto, ma il cucchiaino e l’ago avevano avuto la meglio per l’ennesima volta. Martin Gore non sapeva da che parte sbattere la testa, anche lui avvolto nella dipendenza – stavolta alcolica, tanto da pensare ad un disco solista. Ma non voleva, anche se qualcuno glielo suggeriva: sarà stata l’antica amicizia, sarà stata la timidezza, ma questa ultima parola non voleva proprio dirla. Ci pensò l’angelo custode di Gahan, a dare una mano ai DM: un po’ di carcere, i bassifondi dell’overdose quasi fatale, e la voglia di rimettere veramente il naso verso il sole, dopo anni in cui il paradiso sembrava essere in fondo allo speed e ad una miscela chiamata “red rum”, che letta al contrario indica “murder”. Aveva un figlio che non meritava di restare orfano, pensò, e cominciò a lottare per risalire. “Do you mean this horny creeps” disse appena risvegliato dal coma, e questa fu il primo verso del primo singolo dei Depeche Mode usciti dal dramma, una tonante “Barrel of a gun”. L’album riportò i DM alle sonorità di “Violator”, magari ancora un po’ contaminate delle chitarre del disco maledetto precedente, ma preferendo di nuovo la serenità alle orge. Si tornava all’elettronica di “It’s no good”, alle atmosfere di “Home” e ad altre cose molto soft, piacevoli anche se forse un po’ noiose, alla lunga. Annacquate, insomma, di roba che non era più né la carne rock né il pesce tecnopop. Ma era difficile restare alla moda quando si incideva un album ogni lustro, e soprattutto quando in certi momenti era stato più importante sopravvivere che non cercare le classifiche: da questo disco parte la più recente età musicale dell’ormai trio inglese, che per molti conterranei mai furono più che un gruppo di ragazzini, e che anche nei successivi dischi avrebbero azzeccato due o tre canzoni, immergendo tutto in una melassa elettronica più di maniera che non di convinzione. Ma meglio ritrovarli ogni tanto che non perderli del tutto. (Enrico Faggiano)