QUEEN  "Queen"
   (1973 )

“Queen è un nome davvero regale e suona in modo davvero splendido”. Già, sicuramente suonava meglio dello scontato Smile, il nome del gruppo del batterista Roger Taylor, del chitarrista Brian May, e del cantante Tim Staffel, finito poi a fare il designer nonostante una voce che avrebbe potuto avere miglior sorte.

Al posto di Tim Staffel, era arrivato un ragazzo di origini indiane, un genio delle arti. Dal gusto un po’ barocco, fin troppo glam, ma creativo, comunicatore, designer, e soprattutto cantante dalle doti vocali enormi. Uno che sarebbe stato capace di proiettare la sua voce, nell’immaginario collettivo, tra le più belle della storia del rock. Freddie Mercury era il deus ex machina della nuova formazione: ne decise il nome, ne disegnò l’eccentrico logo, ne forgiò il look, ne sarebbe diventato frontman ineguagliabile.

Assieme a lui, un altro vero fenomeno, uno che da ragazzo si costruì da solo la chitarra con cui sarebbe divenuto un asso della sei corde: Brian May, con in mano la sua Red Special, era il perfetto complemento della voce e dell’estro di Mercury. Il batterista Roger Taylor e il bassista John Deacon (che nei credits figurò curiosamente come Deacon John) completarono la band che nel 1973 pubblicò per la Emi a nome Queen il primo, omonimo album.

“Queen” era esteticamente piuttosto essenziale, nel titolo, nella cover, nei crediti, come si conviene ad un debut album di una band inglese parauniversitaria dei ’70. All’ascolto, conteneva già in nuce le future caratteristiche fondamentali della band: fiumi di talento individuale (sottolineato anche dal “No synthesizers” apposto dal gruppo nell’Lp), molti debiti verso l’hard rock dei Led Zeppelin, musiche pompose e sovrabbondanza di cori, liriche sostanzialmente disimpegnate, e la voce svettante, ancorché non al massimo della maturità, di Freddie Mercury.

“Keep yourself alive”, caratterizzata dal riff inconfondibilmente alla Brian May, è la traccia di apertura, l’unico brano del disco con i crismi da futuro “greatest hits”. Dopo “Doin’alright”, bel residuato del periodo “Smile”, in cui la Red Special è protagonista assoluta, si arriva al primo trittico firmato Mercury, quello che di fatto cambia le sorti di “Queen”: “Great King Rat”, “My Fairy King” e “Liar”.

E’soprattutto “My Fairy King” ad esaltare inevitabilmente le doti vocali uniche di Freddie, ma anche la sua precisa identità di compositore, in cui il pianoforte e la chitarra piangente di Brian si uniscono in un binomio molto importante per la produzione futura dei Queen. Concedendo un intermezzo a Taylor, alla prima prova vocale della sua carriera in “Modern Times Rock ‘n Roll”, la voce di Mercury ha occasione di emergere in “The night comes down”, nella zeppeliniana “Son and Daughter” e nella laica esaltazione mercuryana della figura di “Jesus”.

A chiudere questa prima prova di virtuosismo individuale e di gruppo dei Queen, è la canzone che fa da anello di congiunzione con il secondo album, già in cantiere, che uscirà nel 1974: è la versione strumentale di “Seven Seas of Rhye”, che, cantata da Mercury, uscirà in “Queen II”… (Luca Marozzi)