PYRE FYRE  "Pyre Fyre"
   (2024 )

Non sarà un disco da isola deserta - scrivo queste note dopo aver rivisto al cinema "Stop making sense" dei Talking Heads, immenso monumento difficilmente eguagliabile - ma questo esordio dei Pyre Fyre convince tutto sommato come esplosione lisergica e adrenalinica di pura freschezza e corroborante e ipnotica energia. Da ascoltare al mattino presto per darsi una sveglia originale e lontana dalla melassa sonora che ci ammorba.

Si tratta del primo lavoro del gruppo made in New Jersey formato da Danny Keigh al basso, Dylan Wheeler alla chitarra e Mike Montemarano alla batteria e voce. Siamo in piena mescidanza di stili, ma ben pensata e progettata e riuscita ed eseguita, il cocktail è convincente come sintesi di rock anni '70 alla Black Sabbath, trash metal, strizzatine d'occhio al punk e al al grunge tipico della Seattle anni '90, con una giusta dose di blues e una spruzzata di psichedelia che non guasta mai e riff al punto giusto per non sbadigliare.

Un ponte, come giustamente ci ricorda la copertina dell'album, dove non si possono dimenticare la traccia di apertura “Hypnotize” e l'ambiziosa “Flood Zone”. Un mondo, quello dei Pyre Fyre, decisamente vario e stilisticamente non banale, ma il cui connubio di influenze dà vita ad un progetto coraggioso, originale e molto promettente.

Dal vivo dovrebbero essere un'esperienza devastante, da non dimenticare, segnare in agenda e suggerire l'ascolto come antidoto ordinamentale non facoltativo ai fan delle porcherie che albergano nelle playlist dei giovinastri e, purtroppo, anche dei boomers. Voto 7. (Lorenzo Morandotti)