GAETANO NICOSIA "Io sono chiunque"
(2024 )
“Giratevi dall'altra parte, non guardate”. Queste sono le parole che aprono il nuovo disco dell'insegnante e avvocato Gaetano Nicosia, “Io sono chiunque”, uscito per Materiali Sonori e in collaborazione con il collettivo S.B.A.M. di Flavio Ferri, che qui troviamo al basso. Il punk di Nicosia trasporta parole di denuncia, recuperando la funzione di questa musica che vuole far rumore, per portare l'attenzione su diverse cause.
“Accesso negato” è la prima canzone, dove la chitarra elettrica è accostata a “invasioni” elettroniche, degne del primo Bugo (quello tosto, quello di “Milano tranquillità”). “Siete i benvenuti, questa è la mia vita in una striscia (…) siam topi in trappola, nessuno spera, qualcuno spara”. Non ci vuole molto a capire che sta parlando dei palestinesi assediati a Gaza: “La nostra vita è una galera”. L'LP quindi parte direttamente dall'elefante nella stanza, l'orrore vero che sta capitando adesso, e al quale assistiamo inermi.
Poi si passa ai carri armati in miniatura, quelli del Risiko, in “Carezze atomiche”, cantata con sarcasmo. Con “Corto circuito” si sente proprio il sound sporco e vecchia maniera, con la batteria ruvida, e in questa canzone Gaetano a un certo punto sembra mettersi a salmodiare, quasi come Giovanni Lindo Ferretti, e le parole agitate si fanno introspettive: “Mille formiche arrivano, pagine bianche dell'anima, portano un senso, lo capirò (…) in mille rivoli si perdono gli intenti”.
Un basso funereo e una chitarra noise accompagnano la voce bassa del mesto “Cuore morto”, pezzo dedicato ai morti nel Mediterraneo, ma soprattutto alla non–reazione di chi abita nel continente: “Mille paure di pance piene, muoiono gli altri”. La voce si rialza per la titletrack, dedicata a Leonard Peltier: “Chiunque abbia sofferto perché indiano, perché umano, perché indigeno, perché libero, perché altro, perché impegnato”. Peltier è attivista per i diritti del suo popolo e sta scontando due ergastoli, per aver ucciso due agenti dell'FBI. “Per una bandiera” continua sullo stesso argomento, dedicata a John Trudell, che era un nativo americano che aveva dato fuoco alla bandiera a stelle e strisce, e come risposta tornando a casa si è trovato la casa bruciata, con dentro la moglie incinta, i tre figli e la suocera. “Questo è il mio crimine, l'aver bruciato le 50 di stelle di chi ci ha sterminato”.
Nicosia si prende una pausa per tornare nell'introspezione, con “Seduto qua”: “Non è che io per caso stia morendo? Ho visto tutti i sogni nel cassetto. Non è che io per caso stia perdendo le tracce di qualcosa che non ho? Inizio a percepire quel languore, le spine sulla pelle bruciano, ho unito tutti i punti della storia, ed ora me ne sto seduto qua (...)”.
Poi si riparte con un salto negli anni di piombo. Su una musica che si fa psichedelica, quella di “Sono riuscito a scappare”, si racconta l'omicidio di Giannino Zibecchi, morto nel 1975 investito da una camionetta della polizia: “Quello che voi vedete adesso sono solo i vestiti impigliati nei meccanismi”. L'assassinio avviene dopo quello di Claudio Varalli, ucciso da un militante fascista. Questi fattacci degli anni di piombo, a me che sono Gen Y, ricordano i fattacci degli anni di piuma, ovviamente penso a Carlo Giuliani e Federico Aldrovandi. E mi chiedo che cosa ci stia riservando il futuro prossimo, in Italia.
L'album è chiuso da un “Post Scriptum”, che giustamente è uno strumentale post-rock. Son contento che ci sia ancora chi canti di realtà, attualità e omaggi i martiri, schierandosi. Io qui scrivo sempre da democristiano, ma solo per un fatto estetico (che posso farci, c'avevano stile, in quei “trent'anni di safari tra antilopi e giaguari”, cit.). Ma pur non essendo questo un concept album, è evidente il filo rossissimo, che unisce la carne da macello dei palestinesi, i prigionieri politici amerindi, e i militanti della fu sinistra extraparlamentare: persone scomode, considerate meno di zero dai prepotenti d'ogni epoca e latitudine. Grazie a Nicosia le ricordiamo! (Gilberto Ongaro)