MAGIA NERA "Vlad"
(2024 )
Con il ritorno in grande stile del Rock Progressivo dopo la crisi dei tardi Settanta, il suo successivo “rifugiarsi” nell’underground ottantiano e la rinascita dei Novanta nel filone NeoProg, oltre all’ingresso di nuove eccellenti band di livello internazionale, si sono ricomposte non solo molte delle formazioni storiche ma anche gruppi attivi nella prima e/o nella decade del periodo aureo ma che allora, operando in un contesto decisamente sfavorevole a questo genere, per un motivo o per l’altro non hanno avuto lo spazio (anche discografico) sufficiente a garantire la loro sopravvivenza (l’elenco di questi gruppi, anche restando in Italia, sarebbe lungo e mi fermo qua).
Ogni musicomane tuttavia sa bene che la passione verso la nostra più amata Mus(ic)a è un fuoco che può sì assopirsi, ma che arde sotto la cenere ed è pronto ad incendiarsi alla prima scintilla.
Magia Nera, la band spezzina di cui ci stiamo occupando (Alfredo Peghini, basso e chitarra acustica; Alvaro Lazzini, batteria; Bruno Cencetti, chitarre, voce - unico componente della formazione originaria; Luca Tommasi, tastiere) dal nome che richiama una tradizione più legata ai filoni Death-Black del Metallo, ne è un esempio. In questo caso però non vale il noto “nomen-omen”.
Una volta inserito ''Vlad'' nel piatto o nel lettore, il loro terzo lavoro uscito a distanza di sei anni dalla ristampa di ''L’ultima danza di Ophelia'' (2017) composto da brani dell’epoca, conseguente a ''Montecristo'' (2020), si scopre di avere a che fare con un “hard-prog” analogico di stampo settantiano con un ottimo impatto melodico, a tratti quasi “cantautorale”, che lascia il segno.
L’incipit di chitarra acustica, con la voce potente ed espressiva di Bruno Cencetti, ci proiettano in un seducente groove agrodolce a tinte “dark” perfettamente congruente al tema trattato, “L’innocenza di Dracula – apologia di un vampiro” (Independently published, 2022, incluso nella versione in vinile), libro dello stesso frontman che dà risalto agli aspetti più malinconici e romantici di questo noto personaggio leggendario.
Non mancano sapienti ed improvvise impennate “Hard’n Heavy” a colpi di hammond e soli di chitarra caratterizzati da un sound ispirato ai seventies ma che ha saputo guardare, specie negli arrangiamenti e nella componente ritmica, alle tendenze più attuali.
Insomma, un disco da non perdere, a dimostrare che questo genere, contrariamente a quanto profetizzato dagli uccelli del malaugurio di allora e di oggi che ne hanno decretato la “rottamazione”, è vivo e vegeto.
Long live Prog’n Roll! (MauroProg)