EPRC  "Bodies"
   (2024 )

Un'aria malsana, un'evocazione di scenari inquietanti come quelli del film “Begotten”, un'elettronica sinistra che struttura i brani su battiti e rumori sintetici. Questo è “Bodies”, album del duo EPRC, la cui sigla è formata dalle iniziali dei componenti: Elisabetta Porcinai e Roberto Crippa. Sono italiani, ma risiedono a Berlino. Uscito per Stray Signals, “Bodies” è un'esperienza immersiva e conturbante.

Fondali ariosi, scariche qua e là, impulsi arrotondati (anche quando i battiti sono regolari e costanti, non sono mai spinti a fare tunz tunz), queste tracce creano un ambiente a tratti lynchano (come “Scattered”), dove la voce di Porcinai raramente canta: fa soprattutto spoken word, cioè parla senza esagerata interpretazione, limitandosi a fare da traghetto alle suggestioni evocate dalle parole. Un polveroso libro di canzone d'autore direbbe “logogenico”.

Ma siam mica qui a fare polvere. Anche perché di polvere ce n'è già abbastanza, grazie alla sintesi granulare che genera qua e là rumori levigati e tridimensionali, che affiancano i pad avvolgenti come quelli della titletrack. “Sometimes gravity is lost”, recita all'inizio di “Sometimes” che apre l'album. E infatti la sensazione, nel corso dell'ascolto, è quella di perdere l'orientamento, di trovarsi in una dimensione altra senza punti di riferimento.

La scelta di arrangiamenti pressoché scarni non lascia scampo: siamo portati a concentrarci su questi suoni e rumori di fondo, che si agitano al buio. Solo “Dark red”, traccia di chiusura, assieme un po' a “Calm and silver”, aggiungono anche qualche suono meno grave, seppur statico e anch'esso avvolgente, che nel brano rosso scuro forma delle armonie composite (dalla nona in su), rendendo quindi indefinita la sensazione, indeterminata.

Poesia, visual art, si sente che gli EPRC hanno una formazione multimediale. Per quanto astratte, non si riesce a fare a meno di dare una qualche connotazione, a queste sonorità. Ogni brano è un “corpo” a sé, una stanza dove si entra e si osservano le pareti, il soffitto, il soppalco e non c'è nessuna didascalia a condizionarti. (Gilberto Ongaro)