VASCO TRILLA  "The bell slept long in its tower"
   (2024 )

“Quando vedo te sento le campane”, canta Zucchero. Però quando sento Vasco Trilla, le campane non fanno din don dan. Il mago del suono delle percussioni è tornato, con l'album “The bell slept long in its tower” (titolo avvincente), uscito per Thanatosis Produktion.

L'artista portoghese, dopo aver snocciolato le possibilità di tante percussioni diverse nell'album precedente, stavolta si concentra sulle campane, suonate sempre in maniera non convenzionale. Ad esempio, una campana viene strofinata in “Air”, creando una specie di vento elettrico. In “Acoustic mirror”, Vasco Trilla ottiene suoni intonati e “piegati”, nel senso che il glissato ha una forte componente materica. Come quando batti una pentola piena d'acqua, ed emette quel divertente suono che fa eeooeeoonnn!

Le campane si trasformano in campanellini in “Drowning bells”. Dal titolo mi viene da pensare che le abbia immerse in acqua. Le ha torturate in ogni modo, poverine! In “Abduction” ascoltiamo uno scroscio liquido, quasi come una cascata, su sfondo di timpani. Ma attenzione: alla fine del lento sviluppo di una forma d'onda in “Enveloping dome”, finalmente per un minuto possiamo riconoscere il suono quasi originale.

“Aural eclipse” ritorna in zona sferragliamento, mentre “Glas” gioca con le frequenze più cristalline, come sui bicchieri di vetro. In “Airless”, lo strofinamento provoca armonici distorti ed avvolgenti, anche se a tratti spigolosi, appuntiti per le orecchie. Con “Awake nature from her dream”, le campane tornano ad essere riconoscibili, ma sono inquietanti. “Metallic choir” infine prosegue con le campane “smascherate”, ed è una polifonia di suoni lunghi di campane tibetane.

“La campana dormì a lungo nel suo campanile”, recita il titolo dell'album. Vasco Trilla ancora una volta ci mostra potenzialità diverse di uno strumento che generalmente si suona muovendo il batacchio, e invece qui dimostra esiti diversi dal solito, con gusto surrealista. (Gilberto Ongaro)