NO:FLY "What if"
(2024 )
Uscito per Emme Record Label, “What if” è l'esordio dei No:Fly, quartetto di jazz contemporaneo che gioca con l'elettronica, grazie ai sintetizzatori di Fabiano Di Dio, impegnato anche al pianoforte. Anche Luca Di Nisio alla chitarra gioca con gli effetti, mentre Bruno Graziosi al contrabbasso resta sul versante tradizionale, anche se a volte imbraccia l'archetto e si direziona sul noise, mentre alla batteria Luca Di Muzio si concede alcune digressioni rock, come nella cover a sorpresa di “Das Model” dei Kraftwerk, che in 6 minuti assume diverse sembianze: quella del pezzo romantico alla Tiersen (quando arrivano gli arpeggi di pianoforte), al pezzo battuto e in groove, fino al classico porridge jazzistico, fatto di tempi complessi ma suonati piano alla batteria, e assoli agitati.
Il disco è aperto e chiuso da situazioni elettroniche: per usare un termine serio e tecnico, “Empathy” inizia con un paddone di tastiera, ma proprio un suono che fa swoosh e poi la canzone si avvia ritmata, stando su due accordi e scala arabeggiante. Il pezzo di chiusura “No fly zone” è tutto elettronico e ambientale: una voce parla in inglese e compressa, come provenisse da una radiotrasmittente, e l'esito è psichedelico. Un brano che si distacca dal resto dell'album.
“Identity” e “Aphelion” mostrano ammiccamenti al progressive. La prima è in 11/8 (o 6+5), ed ecco l'archetto del contrabbassista, che intona una melodia. Il pianoforte nella seconda parte diventa ipnotico, ripetendo un inciso, con la batteria che si fa energica. La seconda, che è la penultima nell'album, è fatta di crescendo ed è uno dei due brani che ospita il sassofonista Gianluca Caporale. L'altro brano in cui compare è “Mantra”, sorretto da una melodia malinconica e tanti maj7: l'episodio più “mediterraneo” del disco, dove è disseminata una serie di arpeggi “Sus” (suspended) che rendono appunto il brano sospeso.
La sospensione diventa tratto distintivo, sia in “Distanze” che soprattutto in “Miscommunication”, con un'armonia che sembra non “risolversi” mai, non trova cioè un centro tonale, fino alla fine del brano, che infatti arriva a sfumare irrisolto. Nel mezzo, tante improvvisazioni che continuano a giocare con le distorsioni elettriche ed elettroniche.
E se... “What if” evita con cura i cliché jazz, sia quello storico che quello contemporaneo, non esagerando con i “latinismi” (termine che ho inventato ora per riferirmi agli infiniti esempi di jazz bossa nova, jazz samba eccetera, mobbasta...) e trovando una formula delicata ma mai scontata. (Gilberto Ongaro)