GIANNI BIANCONI "Inferno piuccheperfetto"
(2024 )
Ancora una volta, Dante Alighieri diventa ispirazione per un nuovo disco. Il sommo poeta se la gioca alla pari con Alice nel Paese delle Meraviglie, per numero di reinterpretazioni. Nell'underground abbiamo visto RosGos col suo LP alternative wave “Circles” (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9251), oppure tra i volti noti, il brano “Argenti Vive” di Caparezza, pezzo di rivalsa di Filippo Argenti. E sono solo due esempi, tra quelli che possono venirvi in mente. Del resto, il padre della lingua italiana continua e continuerà ad essere colonna portante della nostra cultura.
In questo caso, l'appassionato del guelfo più famoso di tutti si chiama Gianni Bianconi, ed è un chitarrista. Opta per un rock principalmente acustico, con qualche piccola uscita distorta e con basso e batteria, soprattutto nel brano finale che sfocia nel metal. Ma essenzialmente, nel corso dell'album ascoltiamo i suoi arpeggi puliti, e le sue melodie piene di acciaccature e mordenti, che sono proprio azzeccati, nel volerci ambientare in un racconto medievale come quello della Commedia, in seguito nominata “Divina”.
Sopra alla chitarra, Bianconi recita i versi tratti dall'Inferno, per la precisione sono tratti tutti dal Canto V, quello di Paolo e Francesca, per capirci. E così possiamo ascoltare “Or comincian”, cioè “Or comincian le dolenti note”, e più vai avanti, più ti ricordi quante espressioni di uso comune provengano dalle terzine dello stesso poema. Poi c'è “Vuolsi così colà”. Mi chiedevo sempre come si potesse musicare quei bellissimi versi: “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare”.
“Enno dannati” esce su YouTube accompagnato da uno di quegli inquietanti video realizzati con l'IA (nel 2023 ne erano usciti tantissimi così, nella fan base di Peter Gabriel, per visualizzare le sue canzoni; egli stesso spingeva in questa direzione). Le facce cambiano repentinamente e continuamente, come vuole l'attuale estetica onirico-algoritmica. L'enfasi teatrale di Bianconi è innegabile, si percepisce la sua passione per il grande fiorentino. E si continua con “E come i gru” e “Quali colombe”. L'unico titolo che non proviene dal Canto V dell'Inferno, è “Tutto s'affige”, dal Canto XXXIII del Paradiso, cioè l'ultimo... ma è uno strumentale. Evidentemente, Bianconi non se l'è sentita di recitare i versi che rappresentano l'irrappresentabile (o come urlerebbe Benigni, l'incommensurabile), per cui ha deciso di tradurre tutto in musica pura.
Chiude l'album la coppia di canzoni direttamente legate a Paolo e Francesca: “Amor ch'a nullo amato” e “La bocca mi basciò”, la cui introduzione ricalca la Sonata 14 op. 27 di Beethoven, quella al Chiaro di Luna. Mi dispiace che in quest'ultima canzone, dopo il recitato, Bianconi abbia deciso di cantare a ripetizione quel verso, sempre da brividi: “La bocca mi basciò tutto tremante”. La ripetizione a mio avviso lo banalizza, lo depotenzia: bastava la prima declamazione. Ma poi il brano recupera, entrando nel metal, e soprattutto ricominciando a recitare, ma con voce deformata, sdoppiata in maniera “mostruosa”: ecco questo invece è pertinente ed efficace, essendo all'Inferno.
No, non ve la chiudo rivedendo le stelle, troppo facile! Gianni Bianconi aggiunge un nuovo albero all'immenso panorama di omaggi a Dante Alighieri, e questo potrebbe anche essere utile per invogliare e facilitarne lo studio a scuola, vista la passione trasmessa dal chitarrista. (Gilberto Ongaro)