LOVESICK  "Remember my name"
   (2024 )

Ogni tanto, a piccole dosi, mi piace ascoltare musica country, perché è rilassante ed invita ad un certo disimpegno: immagino sia per questo che i perversi algoritmi di Facebook mi condussero, tempo fa, agli allora Lovesick Duo.

I quali mi sembrarono da subito fenomenali. Cioè: erano solo in due, ma sprigionavano un’energia contagiosa, veicolata da ritmi forsennati e da una musica d’antan di stampo r’n’r’, blues, country. Un milieu nitidamente ed inequivocabilmente definito, arricchito con disinvolta brillantezza da due musicisti sorprendentemente giovani: lui - Paolo Roberto Pianezza, voce stentorea e chitarra frizzante - & lei - Francesca Alinovi, contrabbasso morbido e motore ritmico.

Sulla scia del meritato riscontro ottenuto urbi et orbi, con l’ingresso in formazione del batterista e violinista Alessandro Cosentino il duo si è rinominato in Lovesick ed è divenuto trio, acquisendo notorietà anche al di fuori dai patri confini, grazie soprattutto ad una intensa attività live e ad una intelligente gestione della sigla sui social network.

Registrato a Los Angeles, prodotto e mixato da Fabrizio Grossi col mastering di Gavin Lurrsen, distribuito in giro per il mondo da un pool di etichette (Dixiefrog Records/Edgewater Music Group/MGM Records), “Remember My Name” potrebbe rappresentare, nelle legittime intenzioni, il breakthrough album della band, il lasciapassare internazionale per la gloria, o quantomeno un lussuoso biglietto da visita da esibire all’ingresso del bel mondo che li attende.

Musica d’intrattenimento sì, ma proposta con classe sopraffina e con la scioltezza dei veterani, tecnica e sicurezza affinate in poco meno di due lustri di gavetta, al servizio di un repertorio originale, vario ed allettante.

Con spigliata brillantezza ed entusiastico fervore, propongono in apertura l’accattivante charleston di “Until I’m Done”, arricchito da contrappunti di fiati e violino, l’irresistibile singalong della title-track, la scrittura affatto scontata di “You And I”. E’ solo il trittico iniziale di un album che mai smarrisce ispirazione o slancio, sospinto da un bel crooning – timbro pulito, stentoreo, pastoso - e da trame vivaci quanto basta a mantenere intatto l’interesse: dalla cadenza elvisiana di “Goin’ Down” al boogie d’epoca di “I’ve Got A Smile For You”, passando per le inflessioni tropical di “Martha” e le suggestioni à la Willie Nelson di “Blue Skies”, per gli adorabili slow da mattonella di “Don’t Be Scared Of The Dark” e “The Rain”, fino alla soffice chiusura strumentale di “Kauai”, l’album veleggia spedito in acque tranquille, sulla scia di un songwriting magnificamente retrò.

Centra ritornelli, ganci e melodie, in un clima festoso che richiede adeguata disposizione d’animo, promettendo in cambio buonumore e serenità: merce rara, sempre gradita. (Manuel Maverna)