DISTORTED FORCE  "Angelic bloodshed"
   (2024 )

''Desert'' è il primo brano del nuovo album dei greci Distorted Force, intitolato ''Angelic Bloodshed'', vagamente allarmante e inquietante nei riffoni di chitarra ma alleggerito grazie alla non eccessiva gravezza o velocità della batteria, così come dalle melodie della chitarra o dal cantato growl.

Un violoncello accompagna un bel timbro di voce maschile, assecondato da un vocalismo femminile, in ''Charge & Slay''. La chitarra entra in modo sabbathiano e poi si apre all’armonizzazione di pianoforte fino al ritorno verso terreni death.

Tempi dispari, voce femminile, growl maschile si susseguono nel tipico incedere del progressive metal. Spiace che la batteria, nei suoni, nella produzione, sembri leggermente penalizzata dalla stereotipia imperante nei generi: produrre le batterie di questo genere musicale in maniera troppo perfetta, la troppa modernità richiesta per stare al passo con le mode, snatura a mio avviso la bellezza dei suoni naturali dei fusti e la personalizzazione del batterista, oramai ascoltabile solo nei concerti live.

Fantastico e ben compresso il suono di basso. Belle scure, ma presenti e corpose, le chitarre. A fine brano il piano ci porta su una radura per farci rifiatare, spasmodicamente, prima che le chitarre ci ributtino tra le acque tormentose verso la profondità del fiume che stiamo immaginando ad occhi aperti, verso le cascate finali.

In questo, nel trasportare l’ascoltatore, i Distorted Force fanno centro. A mio avviso dovrebbe essere curato ancora di più l’amalgama delle diverse parti di chitarra, al pari di come è stata curata la creatività nel susseguirsi delle strutture e tematiche dei brani. In ''Light and Stone'' i cori femminili a cui fa da mezzo di trasmissione la consueta ritmica pesante, alternata a continui riff martellanti di chitarra, così come il tapping di basso, rappresentano una luce nel buio. Bello l’intermezzo nella madre lingua greca.

''Machine'' attira per il cantato à la Gilmour, la chitarra più vicina ad atmosfere sabbathiane che non à la Blackmore e che vanno a sottolineare lo stile di tutto il disco e quindi il suono della band. Direi che ci troviamo complessivamente nel terreno di un prog metal gutturale, notturno e dal sapore leggermente distopico, volto a trasmettere un sentimento di rassegnata insicurezza nell’ascoltatore.

In ''Hellbroth'' tutto questo si palesa nelle liriche… quando tutto ciò che abbiamo conquistato una volta è appeso ad un filo? Condannato a soffrire questo regno succhia vita, fino a quando il tuo corpo non crollerà, non ci sarà riposo. Le tematiche sembrano infatti abbastanza distopiche e monito al rigurgito dittatoriale nel mondo intero palesatosi nell’ultimo lustro vissuto.

Così l’andamento prog viene ammantato di una vena scura, che detta il climax plumbeo. Peculiare l’inserimento di dialoghi probabilmente filmici in molte canzoni, con tematiche di sofferenza umana. Una band prog interessante, da tenere d’occhio, anche se non ci troviamo davanti ad un album seminale nel genere, ma rappresentativo di ciò che la Grecia può musicalmente offrire, curato soprattutto nelle liriche che scavano nell’animo umano. Del resto la Grecia fu patria del concetto di humanitas e filantropia. (Johan De Pergy)