AMALIE DAHL'S DAFNIE "Står op med solen"
(2024 )
Con “Står op med solen”, uscito per Aguirre Records, continuano le esplorazioni di Amalie Dahl's Dafnie, sassofonista danese che sta in Norvegia, che tramite il proprio strumento intavola discussioni, a volte accese a volte rilassate, col suo quintetto, formato da lei al sax ed elettronica, Oscar Andreas Haug alla tromba, Jørgen Bjelkerud al trombone, Nicolas Leirtrø al contrabbasso, e Veslemøy Narvesen a batteria, percussioni e... sega.
Uno dei dialoghi più moderati ma intriganti è “Weltschmerz”, che si può tradurre con “dolore cosmico”, dove una melodia di quattro note passa come stanca staffetta da uno strumento all'altro, creando una strana marea. “Algorythm” invece è carica di groove, e Dafnie sembra addirittura recitare con il sax, utilizzando il suono al posto della parola.
“Eco-echoes” rende protagonista l'agitatissimo contrabbasso, che improvvisa a tratti in maniera convulsa, mentre come refrain i fiati tornano più volte a eseguire un'armonizzazione in tonalità minore, solenne e malinconica. La titletrack apre il disco, presentandosi come una “parte I”, ed è caratterizzata da una tetra progressione. La “parte II” invece si riempie di fiato, di aria soffiata negli strumenti senza emettere note. Verso la fine, i fiati sembrano intonare, uno alla volta, le quattro note di un celebre tema “horror” divenuto meme. Non so se sia intenzionale, perché dopo due tre ripetizioni le note cambiano d'altezza, però ci assomiglia!
“Can't you see me” è un altro di questi esempi di sax recitato, mentre la conclusiva “We don't war your stupid war” accelera i battiti. La batteria si agita, mentre tromba e trombone (e a volte anche il sax quando non è in assolo) si comportano insieme da “brass ensemble”. “Står op med solen” è free jazz, ma di quello nuovo. Nonostante le dissonanze e le note “tirate”, non ci percepisco le spigolosità tipiche di Coleman. La scena norvegese ha contribuito in maniera plateale, anche questa volta, a creare qualcosa di originale. (Gilberto Ongaro)