BOWMEN  "Mission IV"
   (2024 )

Ho apprezzato fin dal primo ascolto lo sforzo che questa band tedesca ha fatto nel cercare di superare gli stereotipi che nascono essenzialmente da impressioni sull’estetica del suono.

Questo genera paragoni, anche se sono consapevole che a volte, di fronte a un disco di un’artista sconosciuto, questi sono necessari per incuriosire il potenziale ascoltatore senza dover usare fiumi di parole. Il problema potrebbe sorgere qualora il suddetto artista e le sue fatiche vengano confinate in qualche genere, vittima della comodità diventata banale consuetudine. Scoprendo poi che magari era tutto fuorviato e fuorviante.

Il disco dei Bowmen parte con ‘Demons’, che subito colpisce con un riff cattivo e particolarmente metallico. Intanto i ricordi ripassano il rock di qualche anno fa, quello leggermente ingiallito assieme alle pagine di vecchie fanzine, quando le ricerche dei rocker si concentravano solamente su ellepì e cassette. Del resto erano quelli gli strumenti a disposizione delle band per lasciare un segno postumo.

Verrebbe da citare alcuni riferimenti che spieghino in qualche maniera l’impatto che hanno i suoni dei Bowmen, che in tutta onestà riescono bene con la loro musica dove molti faticano, ovvero suscitare entusiasmo. È chiaro ed ovvio che ognuno di questi musicisti ha nel suo background ascolti ed influenze che lo hanno indubbiamente “viziato”, ed è altrettanto ovvio che questi escano ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. Ma come ho già detto, non è scritto da nessuna parte che quanto prodotto da un artista debba essere per forza “originale”. Penso piuttosto alla personalità che un musicista maturo dovrebbe dimostrare quando si propone davanti ad un potenziale pubblico, che spesso paga per vederlo ed ascoltarlo.

Qualcuno mette i Bowmen molto vicini al grunge e prima ancora a certe cose dei Led Zeppelin. Certamente il blues e spesso presente negli arrangiamenti e ciò fa sicuramente pensare a questi due mondi. Ma a mio parere l’hard rock dei Bowmen in questo disco possiede sufficienti elementi per essere distinguibile e personale.

Si ascoltino per esempio le due versioni di ‘Hold Me Now’, un brano che dimostra spessore con due diversi arrangiamenti. Secondo me qualcosa che in modo del tutto naturale si allacci al mondo del rock progressivo lo si può trovare, quando per esempio il brano non risponde esattamente alla struttura della classica rock song, ma tenta un respiro più denso e diverso. Perché in fondo è così che potrebbero essere indirettamente descritte le emozioni.

Un altro esempio l’ho percepito nel riff alla Alex Lifeson su ‘Palace Of The King’, che tanto ha caratterizzato il suono in molti brani dei Rush. Oppure la voce di Marcus Escher, chiara ed espressiva come quella di Martin Eden dei Chandelier, band tedesca che negli anni ’90 stava sulle corde degli appassionati di new prog. In sintesi, rock come questo non è solo roba per bikers. (Mauro Furlan)