INTERPRETI VARI  "Suoni e storie ai piedi dei Monti Ernici – Radici espressive e nuove prospettive"
   (2024 )

Allieva dell'antropologo ed etnomusicologo Diego Carpitella, Giuseppina Colicci ha curato un volume e il relativo triplo CD che tratta della musica popolare del Lazio meridionale, chiamata “Suoni e Storie ai piedi dei Monti Ernici – Radici espressive e nuove prospettive”, uscito per Squi[Libri]. La ricercatrice è partita da una ricerca sul campo del 1977, condotta da Ivan Cavicchi e Liliana Bucciarelli, che riportava un repertorio di stornelli della Ciociaria, cantati ed accompagnati da una fisarmonica.

Colicci ripercorre le orme dei due esploratori musicali ed è tornata sullo stesso campo, recuperando i cantori superstiti, che incidono diversi stornelli, o con la sola voce, o accompagnati dalla fisarmonica, che a volte compare da sola, per eseguire vari saltarelli e valzer. Ma che cos'è uno stornello? È una poesia improvvisata, a tema d'amore o satirico, diffusa nell'Italia centrale. Sono note le gare di stornelli nelle osterie romane, dove chi canta si alza da tavola e intona parole, a volte rivolte anche in modo ostile agli altri cantanti (un analogo romanesco del dissing tra rapper!).

Ma in questa ricerca, sono cantati soprattutto racconti di disgrazie, di ritorni (mancati) dalla guerra come in “Rosina Bella” e “Viveva con mia madre”, e temi a fondo religioso, come “La morte di Gesù”. Invece “Madonna della Civita” è curiosa, una storia di accuse e ripicche legali: “Incontrai un ammazzato (…) chiamanno la forza armata, me fécino arrestar (...) dodici tistimoni, tutti contrari a me. Dopo di sei mesi la causa ci feci”.

In questa prima parte del primo CD, è simpatico sentire la presa diretta, lasciata senza correzioni: sentiamo una notifica di cellulare, un colpo di tosse, i cantanti raschiarsi la voce o interrompersi per fare considerazioni sui testi, come in “Oh peccator perché quaggiù m'offendi”, dove la donna a un certo punto smette di cantare, e spiega: “Chesta canzone lu cantarimmi in coppia, due, du' ragazze, du' femmene”. Le spiegazioni parlate sono preziose tanto quanto i canti.

“Bonì Bonanno” è cantata con particolare fantasia melismatica, la melodia è fiorita da tanti vocalizzi; più in generale, i cantanti si affidano a formule melodiche fisse, che ripetono per tutte le strofe. Dopo la prima parte nel primo CD, nella seconda parte ascoltiamo i Trillanti, formazione di Alatri (Frosinone) di musicisti che prendono spunto da queste registrazioni sul campo, per farne delle versioni in studio, con chitarre acustiche, basso, percussioni, fisarmoniche, violino, e cori. Particolarmente prodigiosa è la trasformazione de “La morte di Gesù”, dal semplice canto secco, all'arrangiamento corale e strumentale, per dire una bestemmia gratuita, “world”. In realtà, le scelte stilistiche ricordano il percorso della compianta Giovanna Marini.

Sulla scia delle “Folk Songs” di Luciano Berio, che recuperava canti tradizionali ricomposti ed eseguiti dalla cantante e interprete Cathy Berberian, nel secondo CD troviamo composizioni per fiati del Quintetto Koch, che fanno parte del progetto “Our Folksongs”, che hanno preso spunto dai suddetti canti popolari. Troviamo rivisitata la “Macchiarola”, “A diciot'anni”, “Rosina Bella” che diventa “La storia della bella Rosina”, e ancora una volta “Madonna della Civita”.

Il Quintetto Koch esegue brani scritti da una pletora di compositori: Claudio Toldonato, Giuseppe Marinotti, Lorenzo Sorgi, Andrea Rotondi, Valentina Stumpo, Giorgio Astrei, Cesare Marinacci, Sandro Di Stefano, Michele Di Filippo, Antonio Pace, Luca Salvadori e Antonio d'Antò. Dodici compositori per dodici brani. Se andate a cercarli, alcuni sono professori ordinari, altri strumentisti specializzati di trombone, chitarra, pianoforte... insomma, un dream team! E ognuno sviluppa le melodie folk in direzioni diverse, progressioni complesse, modulazioni, variazioni sul tema, giochi con i timbri degli strumenti... E in “Strill'enta voci” compaiono le voci, accanto agli strumenti a fiato. Dopo vari vocalizzi di “aaa”, cominciano a cantare su una nota sola “La morte di Gesù”.

Nel terzo CD ci sono nientemeno che le registrazioni originali del 1977 di Colicchi e Bucciarelli! Ed ecco arrivare la “Ballata intignanese”, ma soprattutto i leggendari “Stornelli alatresi”. Le parole di “Madonna della Civita” le ritroviamo nel “Canto delle Palme”, e se cerco in rete, trovo anche una “Madonna della Civita” cantata in chiesa, una vera preghiera. Difficile capire quale sia la prima versione e quale la derivata, ma è questo il fascino delle tradizioni popolari.

L'introduzione di “Stornelli montagnoli” è una conversazione dialettale: “Uè Pasqualò, e 'ndo si state?”, ed è un pretesto per arrivare a proporre di cantare. La fisarmonica parte, e via di stornelli, fatti da due versi di cui il secondo ripetuto due volte, e dopo la pausa diventa il primo della successiva coppia di versi, e così via. Dopo il “Canto di mietitura – Ci so' venuto a mete”, la fisarmonica si cimenta in cinque brani strumentali: la “Ballarella paesana”, il “Saltarello a pizzichetto” e il “Saltarello di Tecchiena”, “Cesarina vecchia” e “La ciociara”. Chiudono il CD due stornelli: “Chi dice che Intignano non è bello” e “Quando lu pecoraro va in Maremma”. Quest'ultimo si può ritrovare anche in altre incisioni dell'epoca, come quella del Coro degli Etruschi del 1975, a cura di Caterina Bueno. A riprova che i canti, anche regionali, spesso sconfinano e si modificano.

Sono contento di poter vedere un lavoro etnomusicologico di così recente datazione. È necessario rispolverare e mantenere vivi questi percorsi di ricerca, per la conservazione e la tutela del patrimonio culturale immateriale. Al contempo, abbiamo compositori contemporanei che dagli spunti folk traggono ispirazione. È un circolo virtuoso che continua a vivere. (Gilberto Ongaro)