L'ORCHESTRINA DI MOLTO AGEVOLE  "A noi piace il liscio!"
   (2024 )

Un paio di settimane fa mi sono preso l’ardire di cimentarmi nell’ascolto e nella successiva recensione di un album di liscio. Non esattamente il mio piatto di minestra, ma talvolta è bello lasciarsi un po’ andare. Il disco era uno splendore, tra classici resi fedelmente e rivisitazioni rispettose: patrimonio nazionale sì, ma un po’ in sordina, ché questa è musica da balera, mica roba di livello.

Ecco, quando nell’elenco degli album della settimana inviato dal direttore ho scorto “A noi piace il liscio!” de L’Orchestrina di Molto Agevole, gli ho scritto: “Adesso non esageriamo. Però me lo mandi lo stesso? E’ per uso personale”. Perché le tradizioni vanno preservate e perpetuate, e perché c’è un po’ di liscio in ognuno di noi, con tutto quel corollario di memorie, degli anziani che ballano, sagre di paese, matrimoni, zii, genitori, nonni, e le estati e il mare e la campagna e via di seguito. Certo, è musica da balera, puro intrattenimento, ma forse anche no.

Scorro i titoli: bizzarra scelta, ogni brano è formato dall’accoppiata tra un nome proprio ed un genere di quelli che formano l’universo-liscio. L’ouverture è affidata ad “ISABELLE valzer”, strumentale adorabile che sa di pescetti fritti e vino frizzante, ma nella seconda traccia, “ANITA foxtrot”, ecco comparire la voce, che è femminile, flautata, stentorea e meravigliosamente retrò.

Curioso di associarle un nome ed un volto, spulcio la cartella stampa. Ascoltando distrattamente – ma con passione – “LUCIO polka”, che mi ricorda “Rosamunda”, leggo en passant i nomi dell’Orchestrina medesima. La cantante si chiama Francesca Biliotti, e – ripeto – ha un’ugola d’oro, con la quale volentieri si balocca nella successiva “MARTINO cha cha cha”, che mi scivola nel cervello mentre continuo a leggiucchiare. Francesco Paolo D’Elia al violino, Guido Baldoni alla fisarmonica, Francesca Baccolini al contrabbasso, Davide “Dave” Radice alla batteria.

E poi.

Rileggo tre o quattro volte, perché tra i sette musicisti figurano anche Enrico Gabrielli ed Alessandro Grazian, e non ci posso credere. Scartata la remota possibilità di omonimia, giudico tutto vero. La cartella stampa dice anche che si tratta dell’album di debutto e che tutti i brani sono inediti. Quindi, ciò che mi passa in cuffia non è mera rilettura di standard? No: pezzi nuovi. Cioè: del liscio nuovo. Cosa rara, con tutto il corredo già disponibile che c’è. Il tangaccio irresistibile di “AGATA tango”, come i tre quarti dell’album, è stato scritto da Enrico Gabrielli. Il resto da Alessandro Grazian, il testo di “LEO beguine” da Enrico Gabrielli e Francesca Biliotti. Roba da matti, e io che li facevo tristi e compassati, Gabrielli e Grazian.

Comprensibilmente, ecco qua una non-recensione, perché non posso stare a lodare lo stile di Francesca Baccolini al contrabbasso, io che ascolto i Vintage Violence: è più un bla bla bla, leggero e frizzante come la musica di questo disco d’altri tempi (trompe l’oreille, perché d’altri tempi non è), perfetto sfondo di quattro chiacchiere in piazzetta la domenica mattina dopo la Messa e prima del Campari. Pare di trovarsi al cospetto di composizioni d’antan, suggestive ed evocative come provenissero da un’altra epoca, così lontana, così vicina. Dei classici, ma per finta: non lo sono ancora, avranno una chance. Sul can-can gioiosamente indemoniato di “MIA galop” mi sono ben volentieri arreso al trucco di scena, rinunciando a capire, rallegrandomi tout court, smettendo di pensare che hic et nunc è il 2024.

Insomma: divertissement disimpegnato, ma una gran goduria, un po’ l’equivalente di una spuma ghiacciata da pochi spiccioli al bar dell’oratorio, sudati fradici dopo tre ore passate a giocare a pallone, moltissimi anni fa.

Direttore: se ne hai per le mani un altro, sono disponibilissimo, sia chiaro. (Manuel Maverna)