MICHELE DI TORO, YURI GOLOUBEV & HANS MATHISEN  "Trionomics"
   (2024 )

Pianoforte, chitarra e contrabbasso: jazz senza batteria. Questa è la formula del trio formato da Michele Di Toro, Yuri Goloubev e Hans Mathisen, che ascoltiamo nell'album “Trionomics”, uscito per Caligola Records. Il trio privo di piatti e fusti non è una novità, ma è comunque una strada poco frequentata, se guardata in proporzione alle formazioni con batterista. Il trio omaggia lo storico pianista Oscar Peterson, visto che anche lui suonava con quest'organico.

Il risultato è chiaramente molto intimo, e il contrabbasso diventa il riferimento principale per percepire un senso di ritmo. Ne consegue che lo sentiamo “sbrodolare” più del normale, per marcare i battiti. Molti slide (scivolamenti delle note, che corrisponde al glissato nel pianoforte), e il trio opta spesso e volentieri per numerose modulazioni; il centro tonale nei brani è spesso eluso, e questo rende la musica interessante, come una frase arzigogolata.

Il contrabbasso è sufficiente a dare il senso del tempo, in pezzi come “No.4”, che in assolo diventa una macchina pulsante, o nella melodica e sentimentale “Overhearing again!”. Ma altrove, un po' si sente la mancanza di grancassa, rullante e ride, come in “French wind”: il modo in cui il trio suona, la richiama negli accenti, tanto che viene da imitarla con le mani. L'attenzione però qui viene catturata dall'effetto di chitarra, attivato nell'assolo, che sdoppia la nota con la sua corrispondente più alta di due ottave.

“Tensai Bakabon” è un episodio curioso, basato su un riff sincopato di note di pianoforte, e poi si sviluppa con molte dissonanze. Però, la maggior parte del tempo, l'album è fatto di sfumature delicate, come quelle di “Hans and Yuri”, che poi sono i nomi del chitarrista e del contrabbassista. Anche qui, nella calma, le improvvisazioni si fanno virtuose ma col suono morbido, specie nel caso della chitarra.

Il pianoforte resta da solo in “The call”, chiusura sognante dell'album, che suona come pensieri sussurrati all'orecchio. (Gilberto Ongaro)