ALFREDO PUMILIA "Miradois"
(2024 )
Spesso, si tira in ballo l'italianità come un elemento di esclusione, di “noi e loro”, di chi è italiano e chi non lo è. Per la storia del Paese, questa è davvero un'assurdità. L'Italia è quella che conosciamo, proprio perché ha ricevuto e negoziato tante influenze estere, rielaborandole in maniera propria. Più che “cose italiane”, esistono “modi all'italiana” di farle. Quasi niente è inventato da zero: cucina, abbigliamento, filosofia, nel nostro caso musica.
Entriamo nello specifico di questo disco. Miradois è una strada del centro di Napoli, e probabilmente si chiama così dal tempo della dominazione spagnola: si pensa sia una contrazione di “Mira todos”, “guarda tutto”, poiché la strada finisce salendo sulla collina di Capodimonte, da dove si vedono sia i colli che il mare. Questo panorama è d'ispirazione per il compositore e violinista Alfredo Pumilia, che pubblica l'album “Miradois”, uscito per Liburia Records.
La musica è un incontro multiculturale: spunti di musica turca, greca, flamenco, jazz e progressive. Infatti, le melodie del protagonista, il violino, tendono a seguire la scala doppia armonica maggiore (quella di “Misirlou”, per capirci), come nel caso del brano d'apertura “Mosul”, mentre i tempi a volte diventano dispari, come nel brano di chiusura “Sufi”, dove si alternano battute di 9/4 e 10/4 (se non ho contato male!). La Spagna arriva nelle nacchere e nei cromatismi sinuosi di “Zéfiro”.
L'organico è ricco di colori. Accanto al violino di Pumilia e alla formazione base di pianoforte, sintetizzatori, basso, batteria e percussioni, troviamo come strumenti ospiti: chitarra flamenca, chitarra elettrica, flauti, sax, clarinetto, oud e il bellissimo duduk. Quest'ultimo è uno strumento a fiato tradizionale armeno, che fino a poco tempo fa incontravo solo ascoltando dischi folk, ma adesso finalmente lo conoscono tutti, grazie alla colonna sonora di “Dune 2” di Villeneuve. Grazie, Hans Zimmer! Un regalo all'umanità. Il duduk qui lo possiamo ascoltare ad esempio in “Trupéa”, pezzo esaltante dalle reminiscenze Area, quando a metà, il violino si prende una pausa, e il fiato si fa amare nel suo suono solenne, mentre batteria e basso non mollano mai la presa ritmica, anche quando a basso volume.
Ma non è tutto allegrotto, tattaratà, darbuka e triccheballacche: “Janub” è un brano meditativo, dove il violino suona da solo, sopra uno sfondo ambientale desertico, e in certi punti sembra sfiorare dei microtoni (quelli delle scale arabe, assenti nelle scale occidentali). Se ascoltato in momenti particolari, può prendere il cuore. Ma forse è perché sto pensando a Chani... Per il resto, viene una voglia sfrenata di ballare. Alla fine, l'album “Miradois” è una festa, un album di irresistibile gioia prog, dove le diverse culture che attraversano Napoli, si mescolano in un frullatore... all'italiana! Ovviamente nel senso che ho spiegato all'inizio, vista la nostra capacità catalizzatrice. Ah, ho letto solo adesso che questo è un disco d'esordio... chapeau! (Gilberto Ongaro)