ARCADE FIRE  "Funeral"
   (2004 )

Gli Arcade Fire sono una band formatasi nel 2003, il nucleo è composto da Win Butler e sua moglie, accompagnati poi da numerosi musicisti. “Funeral” è il loro disco d’esordio, nonché uno dei pochi lavori dell’ultimo lustro che sono stati universalmente apprezzati ed elogiati. Non è difficile capire il perché, trattandosi di un disco stupendo e fervente, oltre che importante dal punto di vista concettuale. Si tratta infatti del miglior disco del movimento di revival rock che è esploso tra gruppi come “Franz Ferdinand” ed “Interpol”. Gli Arcade Fire ripropongono la new wave più romantica, tingendola però con sonorità orchestrate e vivacità rock. Si inizia con “Neighborhood #1 (Tunnels)”, un mid tempo romantico che sfocia precocemente in un canto soffocato di dolore. Le eco New Wave sono facilmente rintracciabili, ma la commozione traboccante di canzoni come questa muta le coordinate dei brani che, al posto di riproporre qualcosa di già sentito, lo trasformano e attualizzano. Tra l’altro è da sottolineare il carattere ampio ed estraneo a definizioni di questa canzone; blanda ma pungente, fluida e catartica. “Neighborhood #2 (Laika)” accentua i toni concitati, pur mantenendo uno stile elegante e rifinito. Fatto di non lieve importanza in uno scenario in cui le novità musicali sono sempre di meno e si tende a riproporre stilemi pop senza il minimo slancio emotivo. Agli Arcade Fire bastano due brani per stravolgere i canoni del pop contemporaneo, impregnandolo di un’emotività e pienezza di suono che mancavano da molto. Questa “rianimazione” non ha un approccio intellettuale; al contrario, porta con se un’umanità e semplicità di fondo rarissime. Questo profondo senso di fallibilità e precarietà è probabilmente dovuto alle vicende personali dei componenti del gruppo. “Funeral” è un disco pieno di dolore sincero; una ricerca di calore nella musica, di fronte al dolore gelido della vita. “Neighborhood #3 (Power Out)” non smentisce tutte le ottime premesse con la sua chitarra effervescente e pregnante, stordendo l’ascoltatore con un affollarsi di suoni ed un crescendo di intensità, anche nel canto, sinceramente eccelso. “Neighborhood #4 (7 Kettles)” chiude la quadrilogia con un approccio ancora più intimo; ciò che più graffia il cuore è il canto sciolto di Win Butler, aldilà di ogni schema, pura emozione. Il brano si colora poi di tonalità tenui, sfumate dagli archi soavi. Basterebbero queste quattro canzoni ad elevare “Funeral” a miglior disco del revival new rock (o come si chiama); tuttavia il disco prosegue e mette altra carne al fuoco. C’è la danza funebre di “Crown of Love”, classicheggiante e romantica come eccellenti esempi del passato ed oltre. La stesura dei brani risulta ottima, sempre fruibile e ricca di dettagli. La forma è indefinibile, tra classicismo, immediatezza pop rock ed una vena new romantic che rende il suono degli Arcade Fire unico nel panorama attuale. “Wake Up” segue le direttive del brano precedente, con un finale inaspettato e spensierato. Questo a dimostrare che il dolore, il necrologio esposto nel titolo, sono solo consequenziali alle sensazioni provate dai musicisti durante le registrazioni (cioè la morte di alcuni loro famigliari) e non propriamente interni alle composizioni. “Haiti” inietta un’ulteriore dose di New Wave nel disco con un tema tropicale ed una ritmica tribale, sporcati da una leggera pioggia di grigiore urbano. I riferimenti al passato vanno ampliandosi con “Rebellion (Lies)”, una marcia eterea che mantiene però una forte componente concreta e palpabile. Il sipario si chiude con la delicata “In the Back Seat”, una suggestiva commistione di dolcezza, decadenza funerea, ricami musicali sopraffini ed un’intensità sconcertante. Il tutto ritratto in una cornice di pragmatismo ed un approccio proteso all’intrattenimento che rendono questo disco unico. “Funeral” risulta quindi un’opera imprescindibile, la vetta ed il superamento di un movimento musicale che tende a riutilizzare idee del passato. Qui invece si tende a rinnovare il passato, ad attualizzarlo e spesso a migliorarlo. Un disco fondamentale. (Fabio Busi)