GIULIANO GABRIELE "Basta!"
(2024 )
Basta degrado ambientale! Basta morte nel Mediterraneo! Basta ingiustizie sociali! Basta guerre! “Basta, basta, basta…!”.
“Basta!” è il titolo del terzo disco di Giuliano Gabriele, cantautore originario della provincia di Frosinone, esperto di strumenti musicali della tradizione popolare: organetto (suonato anche dal suo bisnonno, che gli ha trasmesso la passione e il talento), zampogna, tamburo a cornice e altri.
L’album “Basta!” è uscito il 23 febbraio 2024, in contemporanea in Italia e Francia, e si propone di esprimere le frustrazioni sociali e individuali del mondo odierno valorizzando soprattutto la forza e l’autenticità della musica tradizionale dell’Italia meridionale, ma aprendo anche alle musiche di altre nazioni.
Canti e danze popolari come la pizzica o la tarantella calabrese vengono prese in prestito dal popolo, per essere poi restituite al popolo in nuove vesti: da una parte, la veste dell’armonioso abbinamento musicale tra le sonorità degli strumenti tradizionali e quelle degli strumenti elettronici moderni (complice il lavoro di programmazione di Martin Meissonnier) e dall’altra parte, la veste della lingua italiana, che in questi canti sostituisce i linguaggi dialettali, per rendere il messaggio facilmente comprensibile da tutti e per risvegliare tutte le coscienze.
La coscienza si risveglia non soltanto grazie al carattere catartico della musica popolare, ma anche grazie all’impatto visivo delle maschere indossate dalla band durante gli spettacoli dal vivo e presenti in fotografia sulla copertina del disco: sono le Maschere della Coscienza, realizzate con materiali di recupero da Katia Masci ed Eduardo Vessella. All’inizio erano nate come maschere zoomorfe, per rendere omaggio alla tradizione di diversi popoli europei che da secoli usano le maschere per diverse festività e ricorrenze, ma poi si è pensato a una loro evoluzione creativa facendole impersonare i concetti psico-sociali (altrimenti astratti) espressi nei testi dei vari brani musicali.
Per esempio, Mondo-Ezza è la maschera che corrisponde al problema ambientale, fatta di sacchi neri dell’immondizia, vecchi dischi, lattine di metallo, bottiglie di plastica schiacciate, rifiuti di ogni genere… è quindi essa stessa un esempio educativo nel senso del recupero dei materiali, per evitare di disperderli nell’ambiente. Il messaggio che Mondo-Ezza trasmette attraverso il canale visivo si ritrova nelle melodie, nei ritmi e nel testo poetico della canzone “Réveillez-vous!”, intitolata in francese probabilmente per via dei contatti con la Francia che Giuliano ha avuto fin da piccolo in seguito all’immigrazione della parte
materna della sua famiglia.
Nel testo di “Réveillez-vous!” si possono sentire tanti versi significativi, tra cui: “La terra che gira non prova vergogna/ Si sgretola piano in una menzogna”; “All’imbrunire del mondo, dannate anime nel girotondo, senza meta né strade”; “Clorofilla spenta, senza colore e sapore, solo sapone e fetore” (da notare la felice assonanza tra le parole “sapore” e “sapone”, che in questo contesto esprimono due idee opposte).
La Disperata è una maschera dai capelli color arancione fluorescente come quello dei giubbotti di salvataggio indossati dai migranti che, spinti dalla disperazione, attraversano il Mar Mediterraneo in cerca di una normalità che si aspettano di trovare in terre diverse da quella di origine. Dell’ingiusto destino di tutte queste persone raccontano le canzoni “Non ci credi” e “Razza Riace”.
Con una base musicale caratteristica dei popoli nordafricani, che richiama alla memoria alcuni brani dell’album “No Quarter” (1994) di Robert Plant e Jimmy Page, la cui produzione è stata curata anche da Martin Meissonnier, il testo di “Non ci credi” punta il dito sullo stato d’animo di quotidiana paura che tanti abitanti di zone poco distanti dall’Europa sono costretti a subire, mentre mancano loro quasi tutte le cose necessarie per una vita decente: “Quello che non manca è proprio la paura, mentre bevi il caffè o sei sotto la doccia… mentre sei sul divano e crolla il grattacielo… mentre fai la spesa o cammini per strada... mentre guardi la TV e sparano alla gente”
“Razza Riace” probabilmente s’intitola così per ricordare al pubblico il nome del comune italiano Riace (RC), che nello scorso decennio, grazie alla perseveranza e al coraggio dell’ex Sindaco Domenico Lucano, era diventato simbolo di buona gestione del problema migratorio. Ma per assonanza, la parola “Riace” fa forse pensare anche alla parola “race”, cioè l’equivalente francese o inglese di “razza”… attirando quindi l’attenzione verso la piaga del razzismo, purtroppo ancora molto presente nel mondo.
Dal punto di vista musicale si riconosce il ritmo di tarantella, mentre nel testo si sentono delle frasi di solidarietà con i migranti oppressi e contro i “signori lassù”: “Signori lassù… vagando nel blu… è tutto spento quaggiù”; “Piangere ora, bel tempo si spera… si spara”; “Scappa, fratello, scappa via!”; “Riace race, Riace race, ici on creve, ici on dance”.
Forse anche la canzone intitolata “Sabir” ha in qualche modo a che fare con l’amore per il diverso e con lo scioglimento dei confini fra le nazioni e fra gli individui. Secondo i dizionari, “sabir” è il nome di una lingua costituita da lessico misto e da strutture grammaticali semplificate che consente la comunicazione tra gruppi linguistici diversi… e infatti, anche nel testo ad un certo punto viene detto: “Scivolo sugli inganni dell’apparenza… allontanarmi ancora e vivere senza mai appartenere, tuffarsi nel vuoto, in catarsi d’amore”. Musicalmente, “Sabir” è forse il brano più melodioso dell’intero disco e l’utilizzo della viola come strumento solista, mentre nella maggior parte dei gruppi strumentali viene usata come seconda voce che accompagna il violino, dona alla musica un originale senso di profondità.
La Mammasantissima è la maschera del potere occulto, dei soldi facili della mafia, della ricchezza ingiusta, che si traveste da demonio. La canzone che meglio la rispecchia è l’omonima “Mammasantissima”, una tipica tarantella stereotipata che vuole esorcizzare il male prodotto dalle pratiche mafiose in una bellissima terra come la Calabria. L’ascoltatore viene positivamente colpito da immagini dure ed efficaci: “Parole scolpite, lingue mozzate, sangue e onore”; “Come ballano bene i miei denari sulla pelle di chi…? Sulla pelle di terre soffocate/tormentate”; oppure l’immagine della “testa di porco, quattro assi, padrone sotto”, che – almeno a chi non conosce da vicino tali realtà – dà l’idea di una processione anticristiana, una processione del maligno.
Un omaggio alla sofferenza e al panico meridionale è anche il brano “Mezzogiorno a Panikos”, che senza paura di esagerare potrebbe essere considerato un piccolo capolavoro: le parole della denuncia sociale si abbinano in modo naturale alla tecnica tradizionale della ripetizione (“cammina, cammina, cammina… preoccupato/disoccupato/rioccupato/disperato”; “si balla, si balla, si sballa a fondo/e mi confondo”; “che ride, ride, ride disperato”; “che trema, trema, trema avvelenato”), mentre nel ritornello, il dialogo tra il solista che esprime il suo disagio con parole diverse (“Mezzogiorno è la mia croce”; “Nessuno che mi sente”; “Unico binario”; “Solito itinerario”) e il coro che gli risponde in modo stereotipato “Ma cosa ti lamenti?” ricorda – oltre alle antiche invocazioni popolari – anche il gospel e il teatro di rivista. Forse questa canzone dovrebbe avere anche una vita propria, come singolo indipendente dall’album.
Un’altra maschera particolarmente ispirata è la USA&GettaWar, che, con il suo volto in blue jeans ricoperto dalle piume dei nativi americani e con una lacrima di sangue e dei proiettili al posto del sorriso, impersona la parte peggiore e più destabilizzante dell’occidente. L’odierno modo di vivere “usa e getta” (o meglio, “USA e getta”) senza dubbio produce delle ripercussioni in piano psicologico e interpersonale. Questo tipo di disagio viene ben espresso nel brano “Muoviti”, una tarantella volutamente ammodernata che probabilmente si riferisce ai continui cambiamenti e spostamenti frenetici e superficiali in cui le vite sono imprigionate (“Muoviti, muoviti ou c’est fini!”; “Sorrisi off shore, rotoli di or, caravan petrol”; “Euforico, felicemente bevo e vomito, inconsapevolmente libero”).
Nella canzone “Yosokisei” si allude chiaramente ai rapporti di coppia passeggeri e vissuti in fretta, senza disporre del tempo necessario per una vera conoscenza reciproca (“Siamo immersi in una storia già finita ormai, in un’altra già vivrai”; “Sparirai senza un perché, egoismi dell’essere”; “Lei si muove così solo per difendersi, candele al buio e poesie, liquide bugie”; “L’abbandonarsi alla follia, incerta, vieni e poi vai via/ Sapore di guai e non smetti mai di parlare/ Solita, ipocrita, falsamente timida, effimera sensualità/ Assapori ogni retorica, pudica nell’anima che è L’UNICA A RESISTERE”).
FuturAntica è la maschera concepita dall’intelligenza artificiale, la maschera dell’isolamento sociale prodotto dall’enfasi della tecnica e dei mezzi digitali, della mancanza di una vera comunicazione, del silenzio… “In silenzio, per favore!” (“En silence, s’il vous plaît!”), ripete ossessivamente il ritornello della canzone intitolata, appunto, “In silenzio”. Sempre alla ricerca sconsolata di un amore che dia un orientamento alle nostre vite, siamo noi quei “soldati incaponiti che naufragate in questo amare, nel mondo dell’apparire” (da notare ancora l’assonanza tra la parola “mare” e la parola “amare” che felicemente la sostituisce qui).
La title track, “Basta!”, sembra essere la canzone più “commerciale” di tutte… “commerciale” nel senso che forse sarà la più ascoltata dalla maggior parte del pubblico. Si tratta di una pizzica il cui testo racchiude in sé il messaggio dell’intero disco, criticando soprattutto le persone che decidono le sorti del mondo e a cui viene giustamente attribuita la responsabilità del suo attuale stato di disagio. La “massa grassa fluida”, che “scivola, scivola”, fa venire in mente l’immagine delle secrezioni del corpo umano, disgustose di per sé, ma adatte anche come metafora dell’asservimento totale ai desideri carnali senza spiritualità.
Diverse altre immagini del degrado sociale ci passano davanti (“Tossica la nuvola... Crisi, crisi isterica… atomica, atomica... Non senti più la musica, è bassa, bassa, bassa”), mentre ai livelli alti ci sono “ordini e conformità,… discorsi senza mimica… bastardi di retorica”… Si può notare l’audace assonanza “figli di una troika” e di nuovo, verso la fine della canzone, torna la “massa grassa mistica” (Chissà perché “mistica”…?), che però questa volta “scivola nella tasca”, in quanto il riempirsi la tasca sembra essere l’obiettivo della maggior parte dei malfattori.
Grazie al suo talento, alla sua dedizione e al suo carisma personale, Giuliano Gabriele all’età di 39 anni ha già un curricolo ricco di eventi dal vivo, premi e riconoscimenti, collaborazioni con artisti di alto livello, creazione e direzione artistica dell’Orchestra Officine Meridionali, attività didattica presso diverse scuole, ed è riuscito a costituire l’attuale brillante gruppo di lavoro: Lucia Cremonesi (viola e lira calabrese), Eduardo Vessella (tamburi a cornice), Gianfranco De Lisi (basso), Riccardo Bianchi (batteria), Carmine Scialla (bouzouki e chitarra battente), Giovanni Aquino (chitarra elettrica e sinth), Gianmarco Gabriele (programmazioni), a cui negli spettacoli dal vivo si aggiunge Laurence Cocchiara (violino), e non dimentichiamo Martin Meissonnier, storico produttore di diversi gruppi di fama internazionale, che nella realizzazione di questo disco ha fatto da colonna portante.
Buon ascolto, buona fortuna a Giuliano Gabriele e vita lunga alla musica popolare! (Magda Vasilescu)