SOLO "The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)"
(2024 )
Un comunicato stampa di quindici pagine accompagna l'album in arrivo, e mi spavento. Aiuto, quante spiegazioni ci saranno? Ah no, sono i testi! Grazie! Prendete esempio artisti, se scrivete canzoni coi testi, specie in inglese. Mandateci i testi, così non dobbiamo impazzire a indovinare cosa cantate, che magari con un'inflessione diversa fraintendiamo.
In questo debutto dal titolo lunghissimo, Solo è un factotum. Canta e suona tutti gli strumenti, tranne qualcosina in cui si è fatto aiutare, ma ogni cosa è sotto il suo controllo, anche la produzione. Così come il concetto, i pensieri espressi. Forse nel presentarsi emerge un po' tanta sicumera giovanile, ma è così preparato che ci può stare. E poi fa quel che a me hanno sempre contestato, nella mia piccola inutile carriera anarcoide: in un solo album infila un sacco di stili diversi. Dopo tanti anni, siamo sempre di più: vi mangeremo, noiosi monotematici!
Anche perché, diciamocelo, questa richiesta che si fa agli artisti di identificarsi per forza in un solo stile (dopo 30 anni che esistono un sacco di esempi crossover ormai consolidati, tra l'altro), parte unicamente da un unico scopo. Funzionare. Come un elettrodomestico. Deve funzionare, dev'essere funzionale. E avanti a dir così, ci troviamo un unico mercato omologato, dove il cosiddetto pop commerciale, il cosiddetto indie alternativo, il cosiddetto punk (LA SAAAAAAAD), suonano tutti uguali. Fare un album multigenere, è anche una scelta di mandare a quel paese questa logica. Il titolo dell'album è inequivocabile: “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”.
E, paradossalmente... “funziona”! Perché, se c'è una costruzione concettuale dietro, puoi accostare il punk, il rock psichedelico, il pop, la musica da banda e la musica concreta! “One of the biggest lies is that you are what you buy”, canta Solo in “Look out (consumerism will consume you)”. Ascoltatore onnivoro, tramite Solo possiamo trovare sonorità di Pink Floyd, Muse, una voce che a volte urla à la Who (in “Hypocrisy (it's all I see)”, e anche Radiohead, non solo musicalmente. Se notate, ogni titolo ha un sottotitolo tra parentesi. Questo l'aveva fatto il gruppo di Thom Yorke, in “Hail to the thief”, del 2003.
Solo indirizza il proprio pensiero soprattutto al consumismo, e dopo una sorta di brano da Beatles in acido, “Don't shoot the piano player (it's all in your head)”, le chitarre acustiche aprono ad un brano inizialmente più rilassato, “Summer fading (late love song)”. Ma qui, a un certo punto, sentiamo la chitarra scappare tutta a destra nelle cuffie. Da qui si sviluppa una melodia che canterebbe anche Matthew Bellamy. “Propaganda in my eyes, again (and you're erased)” accende la distorsione e va nel grunge, e il brano è corredato da un videoclip significativo, dove Solo diventa barista, e ci mostra una ricetta fatta con dei liquori chiamati: “Lack of empathy”, “They're ignorant”, “You are smart and so cool” ecc. Insomma, tutti gli ingredienti che ci vengono indirizzati quotidianamente, per masturbarci nel nostro narcisismo. Perché, più Soli siamo, più bravi consumatori siamo.
Chiudo su due brani sperimentali: “What's the topic of the day (forget the rest)” è uno spoken word, dove la voce ospite, Alidavid, imita un messaggio pubblicitario radiofonico anni '40, dove il prodotto venduto è “il tema del giorno”, la nuova distrazione quotidiana, che ci iperstimola per non farci pensare. In sottofondo, parte una composizione per banda digitale, e la farsa è servita. “Emotional (e)states” invece è un gioco elettronico di due minuti con gli oscillatori sinusoidali, ispirato a Stockhausen. Il resto ve lo lascio scoprire, esplorando il disco, con altri ospiti come Nobody (divertente l'idea di un featment tra Solo e Nessuno).
Il pensiero può maturare ancora un po', ma la strada espressiva è già ben azzeccata! “WARNING: May be addictive. The product can only give the mere illusion of having said an intelligent thing. Keep out of reach of children and the mentally ill”. (Gilberto Ongaro)