QUEEN "A night at the opera"
(1975 )
Sei minuti d’orologio. Tanto durava quel 45 giri che Freddie Mercury passò, sottobanco, all’amico e Dj di Capital Radio Kenny Everett, intimandogli di ascoltarsela esclusivamente in privato. Nei giorni seguenti, quella canzone fu invece trasmessa alla radio fino a 14 volte al giorno, a fine ottobre 1975. La EMI dovette farne un singolo, forzatamente: un singolo di 6 minuti, una follia. Ma “Bohemian Rhapsody” ci mise un amen a mietere dischi di platino e d’oro in giro per il mondo (e in futuro sarà giudicata, in Inghilterra, “canzone del secolo”): poi, i Queen ne facilitarono la diffusione con un videoclip, il primo video promozionale della storia della musica rock. La vicenda della Rapsodia Gitana, considerata da più parti una delle 10 canzoni più belle di sempre, era già stata straordinaria fin dalla genesi (furono necessarie tre settimane per registrare le 180 sovraincisioni della parte operistica). Ma 'Boh Rap' ebbe anche il ruolo, non marginale, di lanciare il quarto album dei Queen, “A Night at the Opera”. Nome mutuato da un film del 1935 dei Fratelli Marx, budget da record (anche qui, il disco più costoso mai realizzato, fino ad allora), sarebbe stato l’album della consacrazione della Regina. Apre la rancorosa “Death on Two Legs”, dedicata all’ex produttore del gruppo, seguita dal divertissement mercuryano “Lazing on a Sunday Afternoon”, canzone che fa il paio con la settima traccia, “Seaside Rendezvous”. Taylor si prende il suo consueto spazio con “I’m in love with my car”, B-side anche del singolo di “Bohemian Rhapsody”, poi tocca, per la seconda volta nella sua carriera con i Queen, a John Deacon firmare una traccia: è “You’re my best friend”, che sarebbe entrata tra le Greatest Hits del gruppo. Trascorsa una corposa parte centrale, che culmina negli 8’21” di “Prophet Song”, Mercury ricompare con le sue doti vocali inafferrabili con “Love of my life”, ben più memorabile nella versione “live”. L’undicesima traccia, 'Boh Rap' appunto, è l’apoteosi tecnica e lirica: le parole di "Bohemian Rhapsody" sono un interpretabile delirio, di un suicida o di un parricida, o addirittura un semplice non senso, nel contesto di una polifonia in 6 atti degna di una rock opera. Intro a cappella, 2 minuti di intensa ballad, l’assolo di Brian May, poi l’opera, che culmina nel celeberrimo “Mama mia let me go”, prima di ridiscendere in una fase hard rock e nella definitiva “outro” chiusa dal gong finale. “God Save the Queen”, l’inno nazionale musicato per chitarra da Brian May, è la ciliegina sulla torta: autocelebrativa come soltanto la Regina del Rock avrebbe potuto concepire. (Luca Marozzi)