HOT GARBAGE "Precious dream"
(2024 )
Avessi avuto ancora i miei vent’anni, confesso che avrei gridato al miracolo o avrei quantomeno esclamato un “Oh!” di meraviglia di fronte a “Precious dream”, secondo album del quartetto canadese Hot Garbage, trentacinque minuti convulsi, intasati, saturi come una stanza chiusa piena di fumo. Nove pezzi congesti, cupi, plumbei, portati a spasso da chitarre (evviva, esistono ancora!) dispettose perennemente in overdrive, guidati da un canto filtrato, lontanuccio e sempre lievemente malsano. A regnare incombente su questo milieu inquieto, un’aria caliginosa ed opprimente, ben sospinta da una scrittura lineare e da pattern ritmici squadrati.
La fosca cadenza pigra di “Tunnel Traps”, con la voce che sembra arrivare dall’oltretomba, è emblematica e rappresentativa di una soffocante mistura di post-punk e dark-wave retrò, di matrice sì apertamente shoegaze, ma in qualche modo calata in una dimensione contemporanea, adatta ai tempi. Sotto tonnellate di psichedelia aspra, condita a tratti da quel gusto impercettibilmente avant che fu tipico dei meravigliosi Women prima che si trasformassero nella farfalla Viet Cong/Preoccupations, sfilano le scariche brucianti di una “Blue cat” in zona Jesus & Mary Chain periodo “Honey’s dead”, il passo sinistro di “Traveller/caravan”, sinistro rallentamento à la Black Angels che procede ipnotico tra fumi lisergici, la sorprendente agilità – quasi un pop trasandato - di “Sarabandit”, il r’n’r sfigurato di “Mystery” o della torrida opener “Snooze you Lose”. Nascosti al riparo di paludamenti art-rock, ben celati dalla coltre di elettricità allucinata che li inghiotte, emergono nel bailamme controllato inaspettati brandelli di melodia (“Lowering”) a ricucire frammenti frastagliati di canzoni inafferrabili, vive sotto tessiture sfuocate.
Imperioso, il rumore troneggia, privo di cattiveria: non è nevrotico, quasi conforta, ma bisogna esserci abituati da una vita, o almeno da quando avevi vent’anni e già ne godevi come di un nettare prelibato. In coda, la ballata sui generis vagamente stralunata di “Erase my mind”, una delizia dream pop memore dei Cocteau Twins, plana come una piuma su ricordi vari e brividi che furono, riportando tutto a casa mentre parla di morte, di perdita e di oblìo con una leggerezza trasognata che vorresti non finisse mai.
Un piccolo gioiello che sa d’altri tempi, per chi l’ha visto e per chi non c’era. (Manuel Maverna)