ERIN K "Sink to swim"
(2023 )
In un’intervista rilasciata per Pretty Women Hustle Magazine, invitata a elencare quattro parole che meglio descrivano il suo stile musicale, la cantautrice Erin Kleh (in arte Erin K) risponde: “heartfelt”, “hopeful”, “bizarre” e “goodbye”.
Infatti, quando si ascoltano i suoi brani si sente che provengono direttamente dal cuore, senza elaborazioni intermedie (“heartfelt”), che sono carichi di speranza nella possibilità di un mondo migliore (“hopeful”), che a volte disturbano la comfort zone dell’ascoltatore con elementi di originalità non sempre ortodossi (“bizarre”) e – last but not least – che invogliano a non sostare sempre nello stesso posto e ad avere il coraggio di andare via e di liberarsi dalle influenze tossiche e opprimenti (“goodbye”).
La proposta musicale di Erin K è una proposta di libertà saggia, che non va intesa come superficialità… Una musica apparentemente giocosa e leggiadra, che però viene attraversata da ombre scure, attirando l’attenzione verso dei problemi profondi e delicati della società.
L’album “Sink to Swim”, realizzato presso Squarehead Recording Studio in Kent, UK, esce il 30 giugno 2023 ed è il terzo dopo “Little Torch” (2016, registrato in Italia, a Livorno) e “I Need Sound” (2019, registrato in Germania). Gli arrangiamenti musicali, curati in ogni piccolo dettaglio, sono stati creati insieme al coproduttore Kristofer Harris, lo stesso che ha collaborato con Belle and Sebastian e Ghostpoet.
Il titolo dell’album, “Sink to Swim”, è una parafrasi del modo di dire inglese “sink or swim”, usato soprattutto in ambito aziendale, che sostanzialmente significa: “O ce la fai con le proprie forze e senza alcun aiuto, o fallisci completamente”. Un’espressione definitoria per la società dell’individualismo e della competizione, che l’autrice modifica in modo sorprendente. Sostituendo la parola “or” con la parola “to”, il modo di dire cambia significato: invece di “perdere o vincere” diventa “perdere PER vincere”… un po’ come morire per risorgere. Molto più che un semplice gioco di parole!
Il disco è composto da 11 canzoni, fra le quali la più rappresentativa per lo stile dell’artista, quella che meritevolmente è anche la più supportata dai diversi collaboratori al progetto, sembra essere “Keep Her”. Il testo racconta di una situazione relazionale subita da Erin nel suo passato (e che in qualche modo accade a tante di noi), in cui una donna è molto attaccata emotivamente a un uomo dispotico ed egoista, che non s’impegna a capirle l’interiorità per poterla trattenere vicino a lui: “Don’t break her bones, use words instead/ You’ve got to get inside her head/ To keep her by your side in bed/ So she can’t let go.”
Musicalmente invece, “Keep Her” è stata all’inizio creata in forma più cupa e drammatica e successivamente resa più leggera e serena, in originale contrasto con il tema trattato nel testo: “Musically, – dichiara Erin – it was interesting to witness the evolution of this song, originating as something very sombre and heavy. The arrangement is lighter now, serving as a nice contrast to the subject matter.”
Interessante e bellissimo è anche il video di “Keep Her”, visionabile su Youtube, nella cui realizzazione presso gli studi Tentacle di Londra, le tecniche tradizionali di animazione sono state utilizzate insieme a una tecnologia digitale per i videogiochi. I fiori che si vedono sbocciare (probabilmente una metafora delle tante menti e anime femminili), come anche altri elementi disegnati manualmente, sono schizzi originali di Erin Kleh, che in questo modo mostra la sua sensibilità artistica anche nel campo della grafica. Nel video compare l’immagine significativa di una specie di diario le cui pagine si girano “da sé”, alla fine fermandosi e insistendo su una pagina nella quale si possono leggere parole come “grow it in complete isolation” oppure “fully controlled”, molto suggestive ai fini della migliore comprensione dell’argomento.
Sempre di relazioni d’amore tristi raccontano anche i brani “Goodbye Song”, “I Don’t Want To Play This Anymore” e “For Lars”: tutti e tre sembrano presentare la realtà, purtroppo molto frequente nel mondo occidentale odierno, degli amori precari vissuti con uno stato di coscienza alterato (lo stato “high”, come viene chiamato in due delle tre canzoni), che una volta terminato cede il luogo alla delusione e alla separazione. Fra le tre storie, l’unica in cui forse viene lasciata una porta aperta all’empatia e all’amicizia anche dopo la fine del rapporto propriamente erotico è “For Lars”, che in realtà altro non è che il testo di una lettera rivolta a Lars, così come veniamo a sapere dagli ultimi versi: “And should you ever need a crutch/ Won’t you please, please get in touch/ I didn’t mean to let us drop/ Without a sound/ So when you’re better, and get this letter/ Please, come around!”
L’album inizia con due canzoni in qualche modo autobiografiche: “Sink to Swim”, che dà il titolo al disco, e “Breathe”. In entrambe si può sentire chiaramente la bravura interpretativa non soltanto della cantautrice, ma anche di ogni singolo membro della sua attuale band: il percussionista Ernesto Massimino Voza ci regala, soprattutto in “Sink to Swim”, delle vere magie sonore con le spazzole della batteria che imitano il suono delle onde del mare, con lo shaker e con una formula ritmica molto simile a quella del “Bolero” di Ravel; la chitarra elettrica di Luigi De Cicco si abbina in maniera naturale a quella acustica di Erin, quasi come fossero una chitarra unica, e offre un intermezzo solistico speciale in “Breathe”; nondimeno si nota il prezioso contributo della vocalist Natasha Miren, del pianista Dan Tarbuck e del bassista Henrik Irgens.
Il testo di “Sink to Swim” racconta artisticamente dei principali momenti della vita di Erin: di quando era piccola e viveva negli Stati Uniti dov’è nata; di quando poi si è trasferita con i suoi genitori a Londra dove tuttora vive (“Where the sidewalk is pavement and the people so pretty”); di quando, da grande, è salita sul palco a sostenere dei concerti… e in tutti i momenti ritorna il leitmotiv delle relazioni d’amore incompiute, che finiscono ancor prima di cominciare. Ma si deve avere il coraggio di sognare, di aprirsi all’altro e di assumersi il rischio e la sofferenza: “I dance for the bold,/ I dance for the dreamers”; “Sometimes we all sink to swim”.
Il consiglio che Erin dà agli ascoltatori nel brano “Sink to Swim” viene ripreso nella canzone da atmosfera esotica e ondeggiante intitolata “Sealife”, che l’artista definisce così: “a dreamy song about asking another person to essentially jump in the sea and take a risk with a new life together”. La canzone “Breathe”, per il video della quale è stata coinvolta addirittura una squadra di nuoto sincronizzato di Birmingham, è un inno all’inseguimento dei sogni e al continuo ritorno dell’immaginazione al periodo dell’infanzia, quando tutto era ancora completo, senza fessura alcuna… “I still believe in you kid”, ci assicura Erin in uno degli ultimi versi della canzone e infatti, sempre nell’intervista per Pretty Women Hustle, consiglia alle nuove generazioni di artiste e artisti di rimanere fedeli allo stile del proprio bambino interiore: “to stay true to your inner child style and remember why you started playing music in the first place”.
Un titolo particolare, che non può non colpire chi legge la playlist del disco, è “Jesus Christ”. Sembra una canzone dedicata a Gesù Cristo, ma in realtà il suo testo racconta di una coppia di giovani innamorati all’inizio del rapporto, che stanno per andare la settimana successiva a incontrare i genitori di lui “and they’ll know you’re having sex with me”. Ci sarebbero due possibili prospettive dalle quali considerare l’insolito abbinamento tra un tale titolo e un tale testo: la prospettiva pessimista, o dall’alto verso il basso, che vedrebbe il nome di Gesù ridotto a semplice parola e attaccato come un adesivo a una realtà passeggera e carnale, e la prospettiva ottimista, o dal basso verso l’alto, per la quale lo stato di felicità che i due stanno attraversando è così bello e privo di difetti, da poter essere assimilato al sentimento religioso. Chissà quale delle due è quella vera, cioè quella che meglio rispecchia il pensiero e il sentire della cantautrice…?
Proprio in mezzo all’album, come per spezzare l’atmosfera meditativa, possiamo ascoltare una canzone molto giocosa, che sembra scritta per l’età infantile, intitolata “Panda’s Song”. Non si tratta di un panda, ma di un gatto che, forse per via del suo aspetto, si chiama Panda. L’artista si rivolge al gatto come a una persona amata, gli dice persino “You’re my everything”, probabilmente perché l’animale è l’unica presenza costante nella vita affettiva di Erin, come accade a tante persone in questi tempi di solitudine. Quindi, anche se la melodia è allegra e il titolo iniziale era “The Happy Song”, dopo un’analisi più attenta la canzone risulta “happy” solo in parte... “Panda’s Song” è stata registrata quasi completamente dal vivo e l’arrangiamento strumentale ci offre la sorpresa di un ukulele, ricordando l’atmosfera del country & western.
Uno stile simile al country & western è presente anche negli ultimi due brani: “No Control” e “Something About Your Love”. La seconda è una cover di un brano appartenente a Mason Jennings e il suo testo esprime un forte messaggio che andrebbe ascoltato: mentre tutte le cose brillanti sono destinate a svanire, l’amore è l’unica verità che rimane (“As all the shiny things in the window fade,/ All that’s real is the love we made.”)
Per avere un quadro pressoché completo dell’arte di Erin K, è importante notare anche la sensualità semplice e romantica del suo abbigliamento e del suo look in generale. In un mondo dominato dal contrasto fra lo stile che ostenta la ricchezza “glam” delle persone abbienti e lo stile solo pratico e funzionale a cui la vita difficile costringe tante donne lavoratrici, Erin K ci propone una terza immagine della femminilità, quella che probabilmente dovrà e potrà vincere. (Magda Vasilescu)