YELLOW6 "Civil twilight"
(2023 )
Sospinti da un estatico rimbombo di basse frequenze à la Angelo Badalamenti, contrappuntati da un insistito arpeggiare, sono i sei rapiti minuti di “Stand” ad introdurre magistralmente “Civil Twilight”, nuovo lavoro sull’etichetta greca Sound In Silence per il chitarrista britannico Jon Attwood.
Sotto il moniker Yellow6, progetto one-man-band attivo da un quarto di secolo, si cela un artista estremamente prolifico, titolare di una sterminata discografia, caratterizzata da innumerevoli pubblicazioni a cadenza fittissima; all’insegna della consueta miscela solo strumentale di ambient, post-rock, drone-music, Attwood miscela con garbo e gusto generi e sottogeneri pervenendo ad una sintesi del tutto personale, un milieu di assoluta raffinatezza contraddistinto da sonorità delicate, che evocano scenari rassicuranti ed invogliano ad una confortante rilassatezza.
Nove lunghe composizioni si snodano lungo i sessantacinque minuti di un album sempre godibile e misurato nel suo fluire armonioso, musica libera di fluttuare in un continuum smarginato, priva di asperità o divagazioni cerebrali, figlia soltanto di una ispirazione inesauribile e di un’innata grazia: con l’abituale pacatezza, Attwood dispensa non soltanto figure basate sulla ripetizione, ma anche ampie, sinuose melodie ed arrangiamenti tanto essenziali quanto funzionali al disegno complessivo.
Dalle piccole sbavature elettriche che aprono “Slowly brighter” al battito sottotraccia di “Keep track”, passando per le toccanti evoluzioni degli oltre dieci minuti di “M”, per lo sviluppo più complesso di “Washed away every trace”, fino all’esitante rallentamento esasperato à la Low della conclusiva “Until the next time”, si percepisce nitida un’eco inconfondibile dei primi Labradford, come delle produzioni della Room40 (Andrew Tuttle su tutti): rimane ad aleggiare a mezz'aria una sensazione di grande quiete, figlia di un sound levigato e morbido, cesellato con la minuziosa accuratezza di un autore coerente ed ispirato. (Manuel Maverna)