ALESSANDRO MARZANO QUINTET "Monk's pieces"
(2023 )
Si può suonare Thelonious Monk senza pianoforte? Sì, a patto di ricordarsi che si perde la “monkicità”, quella capacità di Monk di improvvisare non solo melodie, ma anche armonie. Il quintetto del batterista Alessandro Marzano ha fatto una scelta radicale, nel reinterpretare nove brani del mitico pianista: niente strumenti armonici, cioè pianoforte e/o chitarra.
Batteria, contrabbasso, e fiati, cioè sax alto, sax tenore, trombone. E il flauto, per “Ugly beauty”. I fiati sono monodici, cioè possono suonare una sola nota alla volta. Possono armonizzare insieme, volendo, ma qui si è evitato per la maggior parte del tempo, se non dove necessario, come nel tema di “Hackensack” e di “Children song”.
“Monk's Pieces”, uscito per Emme Record Label, ridà nuova luce ai tre suddetti brani, e a “Epistrophy”, “Misterioso”, “Pannonica”, “Light blue”, “Straight, no chaser”, “Monk's Dream”. L'unico appiglio armonico possibile, è il contrappunto che danno contrabbasso e/o basso elettrico. Per il resto, i fiati eseguono i temi all'unisono, e in fase di assolo, si ritrovano accompagnati dalla sola sezione ritmica. Scopriamo insieme il perché.
Alessandro Marzano è originario di Vibo Valentia, ed ha sempre un occhio di riguardo per il Sud. Con quest'album, cerca di creare legami tra i temi di Monk e determinate suggestioni sonore del Meridione. L'approccio melodia-ritmo, senza l'armonia in mezzo, ricorda le bande popolari, formate principalmente da fiati e tamburi. Anche la batteria ha i fusti accordati più gravi del normale, per ricordare certe percussioni folk (si sente molto in “Ugly beauty”), e si cerca la coincidenza tra lo swing e la tarantella.
C'era un duo comico a Zelig, di cui non ricordo i nomi, che mostrava cantando e a gesti, come qualunque canzone pop si potesse ricondurre alla tarantella. Ora, non è che proprio tutti e nove i brani facciano emergere con evidenza questo legame; spesso l'elemento jazz tradizionale prevale. Il legame più evidente è di sicuro in “Epistrophy”, che inizia coi tamburelli, e sopra il ritmo terzinato, chiaramente tarantellesco, i fiati iniziano il tema a basso volume, come se la... processione arrivasse da lontano. La prima parte del tema viene ripetuta ossessivamente per oltre 3 minuti, all'interno dei quali già partono degli assoli, e solo dopo si va alla seconda metà del tema, per concluderlo.
Particolarmente efficace l'assolo di trombone in “Light blue”, col suo incedere barcollante, accompagnato dalla sola batteria. Dà proprio l'idea di un'anima in pena e sola. Nel complesso, è un album che ravviva la memoria di uno dei jazzisti più originali e d'ispirazione. (Gilberto Ongaro)