RICCARDO COCCIANTE  "Concerto per Margherita"
   (1976 )

Nel 1976, Cocciante aveva già piazzato diversi buoni colpi in classifica. Si era fatto notare con "Poesia", aveva già sfondato con "Bella senz'anima", aveva avuto grande successo con "L'alba" e "Quando finisce un amore", ma quelle canzoni, in qualche modo avevano costruito un cliché. Un cliché nel quale lui, artista comunque di notevole spessore, sei sentiva maledettamente stretto. Cocciante l'arrabbiato, Cocciante quello che urla, quello che fa canzoni tutte uguali che partono piano piano e finiscono forte forte… Tutto ciò era in parte vero, se pensiamo alle caratteristiche dei suoi brani da classifica, ma certamente non rappresentava tutto quello che Cocciante sentiva di essere (come avrebbe abbondantemente dimostrato nei decenni a venire). Per uscire da questa gabbia che rischiava di imprigionarlo definitivamente, il cantautore di Saigon ricorse ad un'operazione che, sulla carta, gli avrebbe permesso di esprimersi compiutamente. Non una semplice raccolta di canzoni, ma un'opera complessa, dal tema unico, articolata in vari movimenti (i singoli brani). Negli anni '70, gli album concept (così si chiamavano i lavori di questo tipo) erano abbastanza usuali. Soprattutto per i gruppi di rock progressivo, che sentivano di non potersi esprimere compiutamente nei 4 minuti canonici di una singola canzone, e che quindi adottavano quasi solo questa soluzione. Ma è pure evidente come sia molto più difficile scrivere un brano di 40 minuti piuttosto che uno di 4 e non a caso, moltissimi di questi dischi così concepiti risultarono prolissi, annacquati, con poche idee talmente diluite da scomparire nel nulla. Si trattava quindi di un'operazione che presentava i suoi rischi, ma alla quale Cocciante si accinse forte di alcune certezze. Intanto quella di essere un musicista in grado di scrivere musica piuttosto buona e quindi di poter gestire al meglio il lavoro, poi di avere con sè un paroliere con il quale era in perfetta sintonia (Marco Luberti), infine di avere assoldato, per "rivestire" la sua musica dei suoni migliori, uno dei più grandi arrangiatori in circolazione: l'ex Aphrodite's Child Vangelis Papathanassiou. Non è che i buoni presupposti facciano automaticamente un buon risultato (magari!), ma questa volta la ciambella riuscì proprio col buco. "Concerto per Margherita", al di là di qualche ridondanza e di qualche ingenuità, rappresenta tutt'ora uno dei momenti migliori della discografia italiana della metà degli anni '70. Musicalmente è album molto vario (la qual cosa si deve alla bravura di Vangelis che seppe arricchire senza soffocare gli spartiti di Cocciante). Quasi non cantautorale - per questa ricchezza - se si pensa che fino a quel momento la produzione dei cantautori era tipicamente caratterizzata da una pochezza musicale quasi disarmante. Dal punto di vista letterario, accanto a qualche momento eccessivamente retorico, queste canzoni mettono in luce anche spunti di un certo livello poetico. A cominciare dalla canzone più famosa del disco che richiese una gestazione lunghissima ma che poi, sbloccatasi improvvisamente con l'intuizione dei primi due versi ("io non posso stare fermo con le mani nelle mani / troppe cose devo fare prima che venga domani") fu scritta di getto in poche ore. Infine va detto dell'interpretazione di Cocciante. Nel suo modo di cantare si fondono perfettamente certo gusto "teatrale" francese, magari anche eccessivo, con la tradizione melodica (e melodrammatica) italiana: due universi musicali, culturali e artistici che in lui avrebbero sempre convissuto. In "Concerto per Margherita" entrambi trovano il modo di esprimersi compiutamente prevalendo ora l'uno ora l'altro nella maniera più funzionale al brano da interpretare. All'epoca il lavoro fu tacciato di commercialità (ovvio: vendette tantissimo!), la qual cosa non aveva una valenza precisamente positiva. Certo il lavoro era lontano dall'impegno politico e sociale dei cantautori quanto dalla violenza del punk che in quei tempi stava prendendo le mosse, ma la storia ha fatto giustizia, se è vero che 'Margherita' è rimasta nell'immaginario collettivo, cosa che di tanti lavori del periodo certo non si può dire. (www.luciomazzi.com)