recensioni dischi
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STEFANO FALCONE  "Obras"
   (2023 )

Per un periodo di tempo, il pianista e compositore Stefano Falcone si è trovato a vivere in una residenza artistica in Portogallo, a fianco di altri artisti, conversandoci, osservandoli e contemplando l'ambiente. E ha poi tradotto quest'esperienza in “Obras”, album per pianoforte solista.

L'estro di Falcone si esprime in vari stili. In “Montado” possiamo ascoltarlo giostrarsi tra mordenti e trilli, mentre “Carlud” è caratterizzata da un'apparente semplicità mozartiana, dalla linearità dello stile galante, seppur disturbato da cupe note gravi.

La serie di “Obras”, tre brani sparsi nella scaletta dell'album, sono composizioni estemporanee, che mostrano la capacità d'improvvisazione del pianista. Nel primo, indugia più spesso su atmosfere maggiormente minacciose. Chissà che tipo di chiacchierate fra artisti avrà ascoltato, per riportarle in questa maniera così sospesa ed inquieta. Il secondo invece ha più l'aspetto di una conversazione di ritmo regolare ma continuo, senza interruzioni. La melodia ha un ritmo quasi marziale e il tocco è freddo, staccato, quasi come se riportasse dei discorsi pacatamente polemici. Il terzo brano denominato “Obras”, invece, è più delicato, per via del legato e dei rallentati d'espressione, descrivendo forse un momento più intimo. Questo terzo “Obras” chiude l'album con morbidezza.

Con “White falcon” si torna a una composizione più costruita, anche se in durchkomponiert, cioè senza ritornelli, un flusso continuo che cambia sempre. Qui ascoltiamo anche cambi di tonalità, e una melodia che indugia su di sé, cercando (e trovando) vie di fuga armoniche, che non riportino banalmente all'accordo fondamentale di partenza.

“Red Door n.2” è pensata in più punti in maniera contrappuntistica, per poi deviare in fasi di accordi e melodia, con momenti tesi e virtuosi. Il brullo paesaggio dell'Alentejo, zona del Portogallo meridionale, è fonte d'ispirazione per l'omonimo brano, che porta con sé alcune dissonanze, e un imprevisto utilizzo del pianoforte, (suppongo) percuotendo direttamente le corde, ottenendo un suono più aspro, simile al clavicembalo. Infine, “A thousand lies” è un brano che si altalena tra malinconia e serenità, giocando tra le armonie e anche fra i cambi di ritmo della mano destra.

Improvvisazione e composizione si uniscono, per un album sentimentale con sobrietà. (Gilberto Ongaro)