recensioni dischi
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PASE  "Mondonovo"
   (2023 )

Musica intensa, colta, intellettuale, scopertamente elitaria per vocazione, tuttavia accessibile.

Veleggia su mari lontani ai confini dell’ignoto, sospesa tra anelito alla perfezione ed un immaginario fantasioso e variopinto. Disegna quadri che attraggono istintivamente per un’idea di bello che recano in sé, mentre invitano ad un riesame accurato per coglierne sfumature, dettagli, preziosismi, piccole meraviglie celate alla vista.

Impossibili da classificare, equidistanti da tutto e da tutti, i PASE (già Piccoli Animali Senza Espressione) non hanno probabilmente eguali nel panorama musicale nostrano: propongono musica soave – non necessariamente complessa – pervasa da un afflato al contempo celestiale e mistico, un’ode al cielo, alla natura, al sentimento, poco importa se in senso archetipico o astratto. E’ un’operazione concettuale che travalica la forma-canzone, allargandosi ad una progettualità sfaccettata ed immaginifica, capace di unire arti visive, poesia e suggestioni letterarie nel tentativo di dispiegare in toto la sua raccolta magia.

A fianco di Andrea Fusario (basso, NS Stick), Edoardo Bacchelli (voce) e Filippo Trombi (chitarra) figurano ora ufficialmente Annalisa Boccardi in veste di autrice dei testi – atout dell’intero lavoro – e Jacopo Fusario all’elettronica: a sei anni da “Sveglio fantasma”, l’ensemble ritorna al passato splendore con le dieci tracce trasognate e suggestive di “Mondonovo”, pubblicato per la storica label Baracca & Burattini.

Accoppiato ad un libro dalla preziosa grafica, edito da Sillabe ed illustrato da Dario Ballantini, l’album è un raffinato connubio tra l’elegante ricercatezza di David Sylvian (“Orizzonte perduto”), la narrazione fiabesca di Angelo Branduardi (“C’era una volta”), l’indole melodrammatica di Amedeo Minghi (“Nell’oscurità”), la classe immortale di Franco Battiato (“Livre des merveilles”). E’ equilibrato, misurato, privo di bruschi sbalzi o improvvide asperità; potrebbe concedersi il lusso – o lo sfizio – di indulgere a sperimentalismi avant, ma vi rinuncia in nome di una fruibilità solo in apparenza leggera, figlia in realtà di un ricamo certosino su suoni e dinamiche, substrato ideale per veicolare le immagini di questo articolato racconto post-apocalittico. Che non spaventa né inquieta, affatto: è piuttosto un viaggio a ritroso nella memoria alla riscoperta di ciò che è sì perduto, ma non per sempre: i sentimenti non invecchiano quasi mai con l’età, ed è nella riscoperta che si può tornare a vivere, ricostruendo tassello su tassello.

Legate dal fil-rouge di parole scelte ad arte per accrescerne l’effetto onirico, canzoni senza tempo né confini si inseguono lungo un continuum di ricche armonie, un flusso melodico inesauribile che partorisce singalong di ineffabile ampiezza, accattivanti, cinti in un caldo abbraccio dalla vocalità peculiare di Edoardo Bacchelli. Si tratti degli echi wave de “Il seme della Terra”, dell’elettronica gentile di “Time capsule”, del chorus circolare o della coda avvolgente della title-track, resta ad aleggiare a mezzaria una nitida impressione di stile, anima di una musicalità suadente e morbida in cui è bello perdersi, sogno nel sogno, vivida illusione. (Manuel Maverna)