AKMEE "Sacrum profanum"
(2023 )
Con il suo secondo LP in studio Sacrum Profanum, uscito per Nakama Records, il quartetto norvegese Akmee continua nella sua esplorazione del free jazz e della classica contemporanea guardando con interesse ai ritmi dell’universo, all’infinità della nostra mente e alla sfera religiosa, tutte linee che si intrecciano tra loro dando vita a un disco multiforme e attraente.
La chimica che unisce Erik Kimestad Pedersen, Kjetil Jerve, Erlend Olderskog Albertsen e Andreas Wildhagen e di conseguenza i loro strumenti – tromba, pianoforte, basso e batterie – è un sortilegio che, come il titolo di questo nuovo progetto indica, incrocia il sacro e il profano. Dal sud della Norvegia questi quattro eccelsi musicisti continuano a dipingere affreschi monumentali e complessi, degni delle ambizioni che coltivano come Akmee. Sacrum Profanum segue il debutto Neptun uscito ormai cinque anni fa, prima pietra di un percorso affascinante e profondo che ostacoli come il Covid e il turbolento panorama geopolitico mondiale non sono riusciti a scalfire.
In Sacrum Profanum tutti partecipano della composizione dei brani, incisi a Tøyen Kirke, una chiesa di Oslo che è anche luogo di ritrovo e mensa per le persone più in difficoltà. Il luogo in cui le registrazioni hanno preso forma, quindi, non può che avere influenzato le dinamiche del lavoro stesso: il quartetto si è lasciato ispirare e trasportare dalle sensazioni e dalle vibrazioni spirituali e non che emana Tøyen Kirke, dalle onde riverberate del pianoforte a coda posto in una stanza della chiesa tutta in legno alle enormi possibilità che offrivano sessioni di registrazione unicamente acustiche.
L’andamento sognante e passeggero di Sacrum Profanum è in linea con la natura stessa degli Akmee: il quartetto prova a catturare in vitro qualcosa che per natura è effimero, come un fossile che arriva a noi per una serie di casualità e di cui possiamo soltanto provare a tracciare le sue ultime ore di vita e il suo passato. Le altalene di “Ciemność” si appropriano della scena dando vita a un mosaico malinconico che non sembra completarsi, una bellezza mozzafiato che non si riesce a fermare e scorre via come acqua dalle mani. Il dinamismo agitatorio della frenetica “Rozpacz” prova a rivoluzionare il tragitto plasmando inseguimenti tra la batteria e il pianoforte presi in trappola da un basso “in contrappunto”, suggestivo e balbettante, che fa da contraltare a uno splendido solo di tromba.
È un universo strano e sfilacciato quello degli Akmee, così calato nella musica classica contemporanea e nel free jazz dei Duemila da rappresentare con forza e con tenacia tutte le storture, gli inciampi e le ingiustizie che caratterizzano il mondo pazzo in cui viviamo. La polverosa e levigata “Zgorzknienie”, quasi tutta costruita su un dialogo prima tra percussioni e tromba e poi tra tromba, basso e piano, sembra eclissarsi lentamente come una nave che naufraga. L’oscura “Fraktal” è una ferita aperta negli abissi tra evocazioni divine e ancestrali paure, mentre la straniante e rapidissima “Winieta” sembra un canto funebre della postmodernità.
Con Sacrum Profanum gli Akmee continuano il loro percorso di ricerca artistica con coerenza e con maturità. Il loro free jazz influenzato dalla classica contemporanea e dall’universo religioso è un amalgama solido e appassionate dei percorsi musicali dei quattro, che hanno trovato nella loro unione un punto di forza notevole e una comunanza d’intenti variegata e originale.
(Samuele Conficoni)