recensioni dischi
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RAOUL SINIER  "Dreams from the assembly line"
   (2023 )

Ecco un disco che ci riconcilia decisamente, e con il sorriso sulle labbra, con la tecnologia, in zona quasi Cesarini, mentre all'orizzonte si agita lo spettro dell'intelligenza artificiale, che non solo riempie le bocche ma detta legge, impone regole e regnerà sovrana su ciò che resta dell'umanità postatomica e postbellica.

Artefice ne è Raoul Sinier, musicista (ma anche pittore, come si evince dai suoi lavori digitali) parigino (beato lui) che unisce in maniera mesmerica e curiosa, non senza tratti di originalità, elementi di elettronica con inserti rock, funky e techno, un po’ in odore di Depeche Mode, Trent Reznor o Moby, con una spruzzata di reminiscenze dei mitici Joy Division, innestandosi però in modo consapevole su una tradizione che ha decretato il successo dell'elettronica matura (e penso a nomi illustri, pensiamo ai Kraftwerk e ai Tangerine Dream).

Qui ci si diverte e si balla col piedino e di molto, però non è onanismo fine a sé stesso ma una collezione ben orchestrata e amalgamata di arguzie e guizzi dell'intelligenza sonora, momenti lirici e cavalcate votate a descrivere come il sonoro di un film muto i nostri tempi vuoti e tempestosamente convulsi, in pieno revival degli anni Novanta che va per la maggiore anche sui rotocalchi.

Voto 8 per questo "Dreams from the Assembly Line" che è un felice tentativo (felice anche nella bella icastica copertina) di inno all'ibridazione, all'ottimismo della mescidanza, e a me ha fatto venire in mente, si parva licet componere magnis, i Talking Heads dell'inarrivabile e inimitabile "Remain in light", e già che ci siamo anche l'altrettanto inarrivabile e unico "Exposure" di Robert Fripp, tanto per rimanere nello stesso girone di mesi cruciali per l'evoluzione del rock mondiale.

Un disco, quello di Sinier, ideale per cercare parcheggio all'ora dell'apericena in corso Buenos Aires a Milano o presso i Murazzi di Torino... (Lorenzo Morandotti)