TEDDY DANIELS "The prisoner"
(2023 )
Per fortuna che ci sono rimaste le cantine ed i garage! Diventano paradossalmente sempre più necessari, perché la vena creativa di tanti musicisti, stanchi del melenso proposito pseudo artistico che nel nostro paese viene tranquillamente propinato inquinando le aspettative (anche lavorative) di molti giovani, rinasce in questi ambienti oscuri e nascosti, dove esiste ancora la possibilità di sfogare le proprie frustrazioni.
Questo è un disco dove si trova un esempio di vero ritorno alle chitarre, al rock’n’roll nella sua vera accezione, molto più credibile di quello presunto di una nota band italiana costruita a tavolino...
I Teddy Daniels sono una band sarda che, arrivata all'esordio con “The Prisoner”, riesce a descrivere tutto il proprio malessere in otto brani infuocati ed incazzati. Sono cantati in inglese, ma è facile pensare che sia una scelta legata come tributo a chi il punk ed il rock garage l’ha inventato in tempi non sospetti, per certi versi non molto dissimili dagli attuali.
Come accennato, questi ragazzi propongono un infuocato rock’n’roll, in larga parte di estrazione americana, quello che inizia dagli MC5 e che passa per territori cari ai Fugazi, senza disdegnare l’hardcore lasciato in eredità dagli Hüsker Dü. Una citazione quest’ultima che indica anche una certa attitudine ad andare oltre a schemi prefissati, un modo credibile di essere alternativi (merce rara oggi...). Ma questa è gente che, se vuole, sa orientarsi anche in lande rock blues senza perdersi e senza perdere la rabbia che li contraddistingue dal primo all’ultimo solco.
Diciamo anche un’altra cosa: la registrazione scarna, che dà l’idea di un live dal carattere urgente, a parer mio è stata una mossa “politicamente” vincente. Uno schiaffo a quella fetta di pseudo appassionati che si fa seghe mentali senza ascoltare musica ma bensì cercando imperfezioni durante la sua esecuzione.
Essere selvatici come i Teddy Daniels, oggi, è diventato un valore che, in arte, è senz’altro da difendere con le unghie, un’attitudine che potrebbe far pensare alla necessità di essere altrettanto autentici e veri. (Mauro Furlan)