ROGOREDO FS "Retrovie dello Stato"
(2023 )
Il cittadino comune, cosa può fare per ribellarsi ai vizi della Società ed al Potere che vuol rendere il popolo passivo e accondiscendente?
Può, certo, giocare la carta di scendere in piazza per manifestare, oppure veicolare la protesta in musica con una scrittura sferzante ed ironica, come quella adottata dai Rogoredo FS (nome ispirato dall’omonima stazione milanese) i quali, adunando una manciata di singoli usciti nell’ultimo triennio, arrivano a rilasciare il primo e.p. con 7 brani “Retrovie dello Stato”, insaporito da un pop-rock vintage ma dal vigore moderno, tratteggiato da una malinconia sociale che fa ben riflettere, in quanto i cinque ragazzotti lombardi denotano già una maturità alquanto avanzata: roba da far invidia ad un gran numero di coetanei apatici e rassegnati.
Seppur preferendo partire in sordina con la placida “Narcan”, con la seguente “Crostini” i ragazzi cominciano a sfogare tutta l’insofferenza con un narrato che rimanda ai Baustelle più abrasivi, mentre in “Pappagalli” iniziano a farsi largo le chitarre come perno strutturale che, più o meno, gira nell’intero settebello esecutivo, ad eccezione di “Soporoso”, dove si odono solo in coda al brano, dopo che un dolce pianoforte ha passato il testimone.
Invece, “Rettiliani” è la stramba sorpresa eclettica, forgiata con tessuti vari: tastiera birichina, andazzo dinoccolato e sciame di corde ruggenti. “Mercanti” tratta la materia in power-ballad, con apici di mood elettrico in forma smagliante. Ai saluti, i Rogoredo piazzano il loro primo singolo “Psicosociale” con un basso oscuro e fragori degni di nota.
Sia ben chiaro: benché questi ragazzi non apportino gran ventate innovative, possiamo però goderci liberamente quei refoli fantasiosi innestati nelle tracce e, se teniamo conto che trattasi di opera prima, nel semaforo futuro scatterà sicuramente il verde, simbolo di speranza, buoni auspicii e di ripartenza sul binario diretto verso ampie nicchie di buongustai della bella musica. Avanti, si parte: in carrozza! (Max Casali)