recensioni dischi
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DEUT  "From the other hemisphere"
   (2023 )

Per essere un debutto, e pure autoprodotto, è spavaldo, e non poco.

Non nel senso che riservi roboanti novità, follia espressiva, indisciplinata creatività: anzi.

E’ un album normale, “From the other hemisphere”, dieci canzoni morbide, spesso in punta di chitarra, confidenziali, intime e raccolte quanto basta a farne un gioiellino di pacata introspezione per anime quiete, disposte ad accoglierne il mood rilassato con tutta la benevolenza che merita.

Eppure, di coraggio ne ha Giuseppe Vitale, in arte Deut, vari trascorsi alle spalle con diverse band, solista dal 2019 con finora all’attivo solo le cinque tracce dell’ep “A running start”. Va dritto per la sua strada senza seguire mode comode, ricamando altresì un bel folk docile di respiro internazionale e di serie intenzioni, non proprio il milieu prediletto chez nous; lo canta con un timbro profondo appena arrochito, un crooning soavemente indolente figlio di tanti padri, nobili ed illustri. Sparse con vellutata nonchalance, vestigia di Jack Johnson e Mason Jennings, Al Stewart e M. Ward, Josh Ritter e Sean Hayes segnano l’atmosfera generale, una mezzora trasognata e pura, così tenera che la vorresti abbracciare.

Tra l’aria bucolica di “Cherry on a top” in apertura e la sottile mestizia che innerva il commiato dimesso di “Sweet till you die”, il clima viene di rado scosso da sporadiche impennate, nessuna delle quali forza mai la mano oltre il limite autoimposto da questa musica così carezzevole, arrangiata con garbo, gusto e misura; il mid-tempo vagamente retrò di “As a patient”, il boogie timido di “Nude naked stripped”, il feedback gentile à la Red House Painters sullo sfondo di “Replace the sun”, il soul leggero di “Push my fingers int your eyes”, ma soprattutto l’irresistibile singalong di “And I rise”, sono solo altrettanti esempi di una scrittura ricca e definita che sa veleggiare con classe sul mare magnum dell’alt-folk, tra testi importanti e spunti raffinati, ricolma di un’eleganza non comune. (Manuel Maverna)