recensioni dischi
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BETH ORTON  "Weather alive"
   (2023 )

Considero la folk singer Beth Orton, capace di sperimentalismi e originalità, insieme a poche altre (Pj Harvey, Bjork, Kate Bush, Rachelle Ferrell e Holly Cole), una compagna di viaggio musicale ideale, che mi ha regalato e continua a regalare ascolto dopo ascolto estatici momenti con una manciata di canzoni, su tutte, nel XXI secolo, "Paris train" e "Wave", ma l'elenco potrebbe essere anche più lungo e pescare anche dal Ventesimo (ovviamente "Stolen car" ma anche "Blood red river") perché, ascolto dopo ascolto, escluso il primissimo album che era davvero poca cosa, la cantautrice britannica riserva sempre sorprese e sfumature.

Non manca di farlo superata da poco la fatidica soglia dei cinquanta anni con l'ottavo album "Weather alive", una produzione indipendente che è figlia dei timori e tremori di Beth quant'altri mai: gli alti e bassi della vita e della salute, la fragilità che ne consegue ma che in Beth è sempre stata un marchio di fabbrica vocale e sonoro, la pandemia e le relative sfide, la voce ancor più dolente e lirica di prima immersa in un tappeto sonoro sostanziato da una alternanza di luci e ombre, ed ecco un viaggio di albe e tramonti tutto da centellinare, corposo e complesso anche se in apparenza diafano e minimalista, con non poche concessioni elettroniche però sempre votate a costruire atmosfera e densità e mai a strafare, un viaggio sonoro e canoro che dà voce e corpo a un amore per la vita profondo e vero, insegnandoci ad accettare il mondo, compresi noi stessi e la nostra fragilità che, a ben vedere, può trasformarsi in forza, per quello che sono e non per quello che vorremmo fossero, ma insegna anche a guardare oltre l'orizzonte, e a perdersi senza aspettarci né premi né castighi nel flusso dell'esistenza.

Voto 9 e mezzo, un instant classic, ma avvertenza: questo che è, a rigore, la seconda parte del percorso già tracciato con l'eccellente "Kidsticks" del 2016, non è un disco per tutti, è un disco che seleziona con acribia e precisione chirurgica i suoi fedeli, un disco che va meritato (non fa per voi se siete nel mood psicologico dell'ultimo Nick Drake per intenderci), e va ascoltato più e più volte e nella stessa solitudine mentale (ossia scevra da pregiudizi da cui è stato partorito) e naturalmente speriamo che la nostra cara Beth torni dal vivo in Italia - per ora è segnalata solo al festival "Primavera sound" in Spagna - altrimenti dovremo accontentarci, ed è proprio pochino, dei live rubacchiati sulla rete. (Lorenzo Morandotti)