MARIO ROSINI & DUNI JAZZ CHOIR "Wavin' time"
(2023 )
Frizzante energia si sprigiona da “Wavin' Time”, il disco di Mario Rosini, direttore e membro fondatore del Duni Jazz Choir. Uscito per Abeat Records, l'album è principalmente una rivisitazione di brani noti, in una maniera assolutamente creativa e ricca di cambi armonici, ritmici e strutturali, assieme a canzoni nuove, come “A new sunrise”. Le composizioni mettono al centro il coro, il Duni Jazz, che spesso si muove in maniera frenetica, superando con disinvoltura modulazioni impreviste e progressioni complesse, come quella di “Four brothers” di Woody Herman, che diventa una corsa vocale più rapida di quelle del Quartetto Cetra.
Otto voci miste che creano una tessitura entusiasmante e sorprendente, come nell'arrangiamento latin jazz di “Black or white”. L'organico è numeroso, tra basso e batteria che hanno un tiro micidiale, chitarra, pianoforte, e molti fiati. Su questo pezzo del re del pop, da notare quegli 8 secondi di melodia impazzita all'unisono di fiato, tromba e basso. Una notevole perizia tecnica esecutiva. Ad un certo punto, il coro canta in spagnolo, e non vorrei fosse una citazione che mi sfugge. Dico questo perché, in “'I cieli' in una stanza” (…), la celebre canzone di Gino Paoli si incontra col tema di “Metti una sera a cena” di Ennio Morricone. Ovviamente, la versione è costellata di modulazioni insane e sorprendenti!
Con questo estro, non potevano esimersi dall'affrontare “Giant steps”, geniale esempio di sostituzioni armoniche di John Coltrane. Il testo che cantano cita espressamente l'autore, per poi prorompere in un assolo di sax. La batteria scherza virando improvvisamente in un ritmo dritto e assolutamente tranquillo... per poi tornare nella carreggiata della complicazione. Sì, è tutto così!
No, non è vero. “E la chiamano estate” parte lenta e tranquilla, col coro che si fa blu, accompagnando la voce solista di Emanuele Schiavone. L'altro brano “dritto” è il lento “Ti sento così (per Sofia)”, dove Mario canta una melodia all'italiana, che ci ricorda la sua partecipazione a Sanremo, con “Sei la vita mia”. Tra l'altro, anche nel ritornello di “Sei la vita mia” c'era una modulazione non scontata, sotto le parole “barca senza pescatore”; il “vizio” ce l'ha sempre. Vorrei non dovermi stupire di queste cose. Ma ne trovo così pochi, a impegnarsi a fare questi piccoli giochi, che emozionano anche chi non conosce la teoria musicale; anzi forse di più proprio loro, perché “non sanno” perché fa effetto. Dovrebbe essere la norma, dopo un secolo di jazz e avanguardie, che avevano finalmente raggiunto anche il pop mainstream un po' di tempo fa. E invece...
Vabbè, torno al punto. Nella titletrack, come altrove, il Duni esegue complicati scat. Complicati da eseguire, ma non da ascoltare, anzi assolutamente divertenti. E anche Rosini si diverte a riempirli di ostacoli, tra passaggi in tempi dispari e progressioni infinite. Del resto, la via per la soddisfazione è fatta proprio di asperità, e che però nel complesso risultino anche piacevoli per il fruitore, che dopo una musica così non si sente solo intrattenuto, ma pure arricchito. Anche la produzione è a cinque stelle: nonostante la ricchezza di arrangiamento, ogni cosa è al suo posto, in maniera tridimensionale.
Forse stupisce meno “Quando quando quando”, ma solo per il fatto che il brano è stato già reinterpretato più volte. Questo non sminuisce la qualità dei “dabadaba” del coro, degli stacchi ritmici al limite del panico, e dell'assolo scatenato di pianoforte. Chiudono l'album due canzoni di Stevie Wonder: “Don't you worry 'bout a thing” e “Love collision (Love is in need of love today)”. La prima ovviamente, indugia su quella discesa corale di “Aaaaaaaah”, per poi suggellare un assolo di sintetizzatore, sopra un arrangiamento di fiati che sembra uno di quelli di Demo Morselli. La seconda ospita un rap sul ritmo funky, con graditi ospiti Simona Bencini alla voce, e Fabrizio Bosso alla tromba.
Che altro dire? Ho scritto anche troppo. Fermate chiunque stiate ascoltando su Spottifai, e pulitevi le orecchie con questo. Mi ringrazierete! (Gilberto Ongaro)