MoE & ESCALANTES "Saint Vitus dance"
(2023 )
Tra casinisti ci si intende. E allora il trio free sludge jazz norvegese MoE, capitanato dalla bassista/contrabbassista Guro Skumnes Moe, si incontra con gli Escalantes, padre e figlio, Oscar e Martin, duo di sassofonisti noise. Insieme fanno caos al cubo, nel disco “Saint Vittus Dance”, composto da 5 pezzi ed uscito per ConradSound.
Partendo da “Auto da fé”, fin dall'inizio sembra una continua coda finale di un pezzo che non era mai partito, la corrente elettrica è l'elemento principale che si ascolta, nella distorsione del basso, mentre il batterista non avvia mai un vero e proprio ritmo, ma batte su rullante e piatti come, per l'appunto, in una lunga coda. “The Greek fire” invece è il prolungamento del momento di saturazione, sempre in un'ipotetica struttura musicale che abbia crescendo, apice e decrescendo. Questi sono due minuti e mezzo di fff, fortissimissimo fatto da sassofono svirgolante, dissonanze di chitarra e basso, e batteria energica. Fin qui li riconosciamo, i MoE, assieme al duo di sax.
Una zampogna avvia “Bagpipes from Guanajuato” con un'improvvisazione più “tradizionale”, nel senso che intona delle note su una scala, mantenendo il classico bordone fisso nel mastice. Ma dopo poco più di un minuto, accanto alla cornamusa ecco tornare le urla acute e rabbiose di Guro, che abbiamo imparato a incassare anche in dischi precedenti, e soprattutto dal vivo. Le urla presto si trasformano in ululati, poi in parole, ingrossando anche la voce, mentre la band raggiunge lo strumento folk. Dopo l'esplosione, resta un acuto più alto del normale, sforzato da Guro, che si perde nell'eco polverizzata della distorsione. O forse non è la voce, sono i sax. O entrambi. Ma la corrente elettrica, come dicevo, è la cifra stilistica importante. E come abbiamo sempre visto, i MoE si affiancano spesso ad ospiti, come Mette Rasmussen e le Pinquins.
Anche “The Sandman”, con questa lentissima metrica, e il ritmo dilatato di batteria, dà l'idea di musica polverizzata, di brandelli di suono. Il sax solista però si lancia in un assolo che reagisce all'ambiente opprimente, improvvisando con disperata frenesia. La voce narrante si fa cupa e persa nel finale, è un brano totalmente decadente, anche nel glissare tutto verso il grave. Il titolo è un tributo a Mark Sanders dei Morphine, dove si poteva ascoltarlo suonare il basso con lo slide.
Infine, la titletrack non assomiglia all'omonima “Il ballo di San Vito” di Vinicio Capossela. Si tratta di 13 minuti, di cui i primi tre sono libero sfogo del duo Escalantes, per poi risentire il suono minaccioso del basso che ormai abbiamo imparato ad amare. Ma gli altri due del trio non si fanno sentire. Il dialogo resta tra basso e sassofoni. Ecco, in quest'ultimo brano, sentiamo qualcosa di diverso, dal solito caos disorganizzato. La frammentarietà ha un collante, sembra che le briciole di suoni si uniscano in un qualcosa di unitario. Ma sempre senza tradire l'intenzione noise. (Gilberto Ongaro)