ENZO JANNACCI "The best"
(2006 )
Esce, per Ala Bianca Group, il nuovo doppio CD di Enzo Jannacci: “The Best”. Jannacci rilegge alcune delle perle del suo immenso repertorio, restituendoci, in modo nuovo, quel suo orizzonte di sempre: un viaggio avanti, nel futuro. Dove i suoi vecchi “mondi” futuristi e surreali, troppo avanti ieri, per questa volta, forse solo per questa volta, hanno trovato la dimensione giusta. Fa effetto vedere, al di là del tempo trascorso, quanta dignità emanano i suoi personaggi, a confronto con il degrado etico dei tempi attuali. Una volta simpatici “pazzi”, “esagerati”, poi “alternativi” ma sempre, ostinatamente, fuori moda ora, abitano, arredano e danno vita a queste 35 canzoni. In questa antologia di “sbieco”, che è lo sguardo giusto per avvicinarsi alle verità artistiche di Enzo Jannacci, sfilano storie, canzoni perse di vista, scappate di mano, sfumate da una lontananza che era peccato non provare a riavvicinare. Senza celebrazioni, sforzi enciclopedici o riepilogativi. Messe insieme più per una voglia di capire meglio, al di fuori del loro contesto di origine e indipendentemente dal tempo trascorso, la loro verità. Come amici, appena lasciati, ma che già ci mancano. La scaletta si apre con un brano inedito, chirurgico, senza mediazioni: “RIEN NE VA PLUS”. Una canzone vera, raffinata ma definitiva, subito stemperata dall’assurdo e dal paradosso di quel pezzo unico e simbolico nell’immaginario collettivo che è “VENGO ANCH’IO”, qui proposta in una versione da “cotton club”. La dolcezza ci pervade e ci sorprende grazie a “PARLARE CON I LIMONI”, bilanciata dall’amarezza drammatica e cinematografica de “LA FOTOGRAFIA”, seguita dalla rincorsa perdente dell’amore di “GIOVANNI TELEGRAFISTA” e dalla solitudine sociale del “SOLDATO NENCINI”, due personaggi a cui manca la saggezza urlata di “CI VUOLE ORECCHIO” e l’energia ‘rhythm & blues’ di “E LA VITA”, che esalta le amenità del testo, subito dopo sferzata dalla durezza di “IO E TE”, in cui “...l’avvenire è un buco nero in fondo al tram” e dalla poesia, già post-industriale, di “VINCENZINA”. E ancora: il racconto in ‘tempi dispari’ di “SE ME LO DICEVI PRIMA”; “IL LADRO DI OMBRELLI”, inedita filastrocca e l’altrettanto inedita “MAMMA CHE LUNA CHE C’ERA STASERA”, preghiera impastata di nostalgia e delusione. D’improvviso ecco un brano che ci aiuta a percepire i confini del mondo di Enzo Jannacci. L’enorme galassia blues di “QUELLI CHE...” vero e proprio manifesto dell’esistenzialismo assurdo (e perciò veramente credibile). Scarto di umore e dritti verso la delicatissima “DONNA CHE DORMIVI”, indulgente ritratto femminile; canzone pressoché sconosciuta e, finora, protetta dalla sua versione in milanese e qui finalmente liberata, in questa sua inedita versione in italiano. Ma non siamo ancora ai vertici del sentimento. E’ il momento di “SFIORISCI BEL FIORE”, capolavoro melodico e narrativo, espressione di rango della canzone popolare d’arte. Chiude questo primo “tempo”, in coda al primo CD, con la stessa freschezza di un inedito ma con la forza d’urto che l’ingiustizia sa scaricare alla bocca dello stomaco, l’attualissima “LA COSTRUZIONE”, orazione civile, frutto della collaborazione con Chico Buarque de Hollanda e la complicità di Sergio Bardotti. La seconda parte si presenta come un’antologia di emozioni, a volte di immagini, spesso di storie, quasi sempre di personaggi. Come “BARTALI”, eterno successo, qui strapazzato con pieno diritto in un duetto imperdibile e memorabile di Enzo con l’autore Paolo Conte. Poi, ecco lo spazio in cui collocare le canzoni più recenti, ma ancora trascurate, intime e personali di uno Jannacci poeta e narratore più consapevole: “L’UOMO A META’” e “COME GLI AEROPLANI”, intervallate dalla ritrovata ma sempre fragile “VIA DEL CAMPO”. Un passaggio protetto dal personaggio di turno: “CESARE”, la cui forza e sicurezza compensano la serena e intima lettura di “LETTERA DA LONTANO”, premiatissima canzone che, più di ogni altra, rappresenta la nuova stagione artistica di Jannacci. Si aprono ora gli spazi per incursioni nell’amato jazz/blues con “FOTORICORDO... IL MARE”, anticipo dell’informale sfogo di dolore in “QUELLO CHE CANTA ONLIU’”, informalità e surrealismo che si esaltano in “NIENTE DOMANDE” per poi cedere all’amarezza, più storica, meno esistenziale e più ‘incazzata’ della cinematografica “SEI MINUTI ALL’ALBA”. Ma anche i luoghi incrociano le loro storie con le persone, come ne “IL DUOMO DI MILANO” e le persone, incrociando il loro destino con i luoghi, entrano nel mito. Diventano personaggi. Accade in “PER UN BASIN” o con la struggente ballata de “GLI ZINGARI” (e il mare), per arrivare alla deflagrazione in sequenza dei protagonisti di “ANDAVA A ROGOREDO”, “OHE’ SUN CHI’” e “EL PURTAVA I SCARP DEL TENNIS”; trilogia di petardi a cui fa contrasto la magica “I MULINI DEI RICORDI”. I titoli di coda sono affidati alla tenera, inconsueta forza trasgressiva di “VERONICA”. Due ore e mezza di viaggio in prima classe in un treno di 35 carrozze, in compagnia dei musicisti: Stefano Bagnoli, Roberto Gualdi, Flaviano Cuffari alla batteria e percussioni; Marco Ricci al basso e contrabbasso; Sergio Farina alle chitarre acustiche ed elettriche; Daniele Moretto alla tromba e al flicorno; Michele Monestiroli ai sax. Con gli interventi speciali di Luca Franzetti violoncello solo in “Donna che dormivi”); del “Coro Filarmonico di Valseriana” diretto dal M° Fabio Piazzalunga; di Daniele Di Gregorio (batteria in “Bartali”); di Massimo Pitzianti (fisarmonica in “Bartali”); di Jino Touche (contrabbasso in “Bartali”) e Paolo Conte al pianoforte in “Bartali” con Paolo Jannacci che, oltre ad aver suonato ‘rhodes’, fisarmonica e ‘synth programming’, ha curato gli arrangiamenti e la produzione artistica del progetto. Quando Jannacci fa canzoni sa come fare: musicalmente, letterariamente. Persino utilizzando incursioni teatrali e recitativi che ne arricchiscono l’architettura; rendendola alta, raffinata. Di quelle che, come quelle qui allineate, raramente se ne fanno. E pur non invecchiando, cambiano. Sono le stesse... ma danno emozioni nuove. Come il battito del cuore: non siamo sicuri che sia sempre lo stesso da quando siamo venuti al mondo.