recensioni dischi
   torna all'elenco


INGAR ZACH  "Musica liquida"
   (2022 )

Che rumore fa il timpano? Tum. E il tom? …Tom, appunto! E così via. Tutto qua? Ingar Zach, facendo vibrare gli altoparlanti sulla membrana dei suoi tamburi, fa emergere delle note intonate, che vengono poi elaborate nella forma d'onda. C'è un video del 2016, dove lo si vede strofinare una campana tibetana attorno al bordo di un timpano, sul quale sono appoggiati dei triangoli. Il risultato è un suono tridimensionale e modulante, di più del semplice rototom.

Questa volta, i suoi esperimenti li ha portati nel Mausoleo di Emanuel Vigelands, a Oslo. Resta un mistero il perché dei titoli italiani, anche se sappiamo bene che la lingua internazionale della musica è la nostra (crescendo, sforzando, largo ecc). Uscito per Sofa Records “Musica liquida” è in sostanza un documentario di ciò che Zach ha combinato all'interno del mausoleo. Quasi tutto ciò che ascoltiamo, sono le vibrazioni di rullante, timpano e gran cassa, elaborate dagli altoparlanti e riverberate nelle pareti.

“Mercurio” sorprende subito, con questo suono nasale e dalla strana forma d'onda, che, se non sapessimo le informazioni qui sopra, diremmo che è una fisarmonica modificata, o un synth. E invece... Spesso ci troviamo di fronte a lunghi drones sonori, perché questi suoni non sono fatti per significare altro da sé, ma per essere contemplati in quanto tali. Ecco perché Ingar Zach ne parla come di una cerimonia, un rituale.

“Increspature su un lago” presenta arpeggi morbidi e cristallini; chissà da quale strumento arrivano. Sopra di essi, un sibilo ben più lancinante disturba la quiete. In maniera impercettibile, il timbro si modifica in decine di modi, e nel lento flusso non te ne accorgi.

Col passaggio dallo stato solido allo stato gassoso, senza passare per il liquido, si parla di sublimazione. Ed ecco “Vapore”, che, partendo dalle percussioni, sublima raggiungendo delle distorsioni che sembrano le interferenze elettriche dei cavi di segnale, quando collegati e toccati col dito sulla punta.

La domanda è sempre: perché? Perché pubblicare un disco del genere? Come detto prima, puramente per scopo documentaristico, per sapere cosa ci fa Ingar Zach a Oslo. Cosa fa questo musicista, intento a strofinare superfici e pelli che normalmente andrebbero percosse? Per lui, è una disciplina severa, quella di riuscire a disimparare il proprio strumento. E scoprirne così potenzialità inaspettate, qui espresse. (Gilberto Ongaro)