recensioni dischi
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FLYING DISK  "In the heart of the city"
   (2022 )

Velocità, energia al punto giusto, ritmo da vendere.

Quel simpatico birbone del direttore di Music Map ha voluto di nuovo mettermi alla prova. Come ha fatto a sapere che sono da metà anni Ottanta anche un fan (sia pure intermittente e dilettantesco) di "Kill 'em all" dei Metallica e in anni più recenti di "Pulenta viulenta" della rockband Longobardeath?

Certo non lascerei che mia figlia uscisse impunitamente con uno dei Rancid, dei Cannibal Corpse o degli Hüsker Dü, nemmeno per una innocente serata di "dolcetto o scherzetto" per Halloween e poi tutti a nanna nei propri lettini, ma forse uno dei Flying Disk, trio heavy rock piemontese al suo terzo lavoro discografico (su vinile e in streaming), avrebbe qualche chance in più. Tentar non nuoce.

Intanto fanno poker con questo nuovo disco epico e sostanzioso, poker in termini di canzoni contenute e di produttori. Infatti, in attesa di vedere un album in termini di brani più sostanzioso, speriamo presto dietro l'angolo, mercé le loro carriere soliste o di gruppo, i rockettari della terra del Barolo che sono in pista da più di un decennio (e non è poco con l'aria che tira) fanno nascere un disco in maniera piuttosto curiosa, ovvero dalla collaborazione di quattro diverse etichette indipendenti a livello internazionale: la francese Araki Records, la statunitense Foribidden Place Rec, la svizzera Urgence Disk e l’italianissima Karma Conspiracy.

I motivi di tale ridondanza produttiva (cui non si può non applaudire se si vuole uscire dalle secche del guscio italico) si possono chiedere ai diretti interessati, ma noi godiamocene il frutto che esce dalle casse (magari una bella coppia di ProAc o di Elac): schietto hard di buona schiatta e fattura, che come un buon vino fruttato e adeguatamente barricato (non sono pochi i tempi di maturazione di questo pur esiguo lavoro) sa esprimere retrogusti e strizzatine d'occhio e palpatine nei punti giusti senza sembrare per questo ruffiano o programmaticamente decadente o postmodern.

Siamo invece, miei cari, sul fronte più diretto e positivo della schiettezza, dell'alto artigianato consapevole della propria forza, per questo “In The Heart of The City” che è stato registrato nello studio della band dal bassista Francesco Martinat. "Il disco è frutto di anni di ricerca sia per quanto riguarda il suono che la scrittura, e cerca di scrollarsi di dosso qualsiasi etichetta legata al genere per provare a raggiungere un suono più originale possibile" recitano, a conferma di quanto prima precisato, le note di presentazione.

Fatta la dovuta tara della retorica da comunicato stampa che dice tutto e nulla, rimane all'ascolto e sul palato acustico un precipitato di sincerità e onestà e voglia di essenzialità che sono facoltà davvero necessarie e rare oggi, un poker sonoro (sostanziato da chitarre, batteria e voci ben amalgamati, si sente che questa gente piace fare musica insieme) che sa tanto di viaggi notturni a fari spenti o intermittenti, ma sa anche di volontà di ripartenza, necessità di scrollarsi di dosso i propri limiti. Massici, incazzati ma non con gli steroidi e alla fine anche propositivi, tutto sommato adrenalinici, endorfinici, un bel disco per svoltare prima di avvilupparsi nella melassa che ci attende in fondo al vicolo cieco. E un bel 7 e mezzo sulla lavagna dal vostro affezionatissimo. Ma non fateci penare tanto per scaricare un nuovo lavoro. (Lorenzo Morandotti)