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DAVIDE GIROMINI  "Manifesto post-pop"
   (2022 )

Allora visto che è logorroico la recensione gliela scrivo senza punteggiatura così potete percepire il flusso costante di pensieri senza sosta tra psichiatria meduse incravattate Bakunin alieni ideologia Sert autocritica transeunte Slump e Arale deliri mestruali Ivanoe e tante altre cose che neanche gli Offlaga Disco Pax... No non riesco, devo respirare!

Ripartiamo. Davide Giromini, professore di storia e filosofia, cantautore dal 2005, pubblica “Manifesto post-pop”. Tra le varie uscite, nel 2012 produceva “Ballate postmoderne”, quindi il concetto di “post” gli è molto caro. Difatti, egli narra lo sgretolamento, la progressiva decostruzione delle idee pop(olari) che hanno sorretto il Novecento. Musicalmente, la fisarmonica è centrale, con la presenza in più brani di Steve Lunardi al violino, e un sound sintetico occasionale, come il sesso.

“Comunisti del terzo millennio”, che apre il disco, è una lucida analisi sulle cause della difficoltà di chi si sente rosso oggi: “Paghiamo caro in società tutti i massacri di Stalin (…) fra un altro sciopero e Stakanov, fra cento fiori nei cannoni e mille molotov, noi non sappiamo neanche più chi siamo (…) cercavamo le case del popolo a Cortina (…) la voglia di Afghanistan sopra la fronte di Gorbachov”. Tutto questo, mentre i socialisti sono “in fase REM”.

“La mia personale storia della canzone di lotta” passa in rassegna gli artisti impegnati con disincanto. “Io e te che cantavamo i CCCP ci prendevan per il culo, con l'elettrica e il tamburo, tutti punk e rivoluzione, tutti in culo alla pensione, posto fisso e TFR, per finire da Ferrara a far le fusa a Ratzinger (…) quando ascolto Alessio Lega, penso che alla gente cazzo gliene frega di cantanti censurati, degli anarchici incazzati (…) io ritorno al combat-folk ma poi salgo sulla Porsche, nel mio sogno miliardario inoculato da un vaccino contro il pop”.

La titletrack è una delle due canzoni più “orecchiabili”, e trova la sintesi: “Siamo nati e cresciuti sotto l'ombra dei lupi, siamo belli e dannati con il culo ai mercati (…) siamo tutti drogati, coi neuroni bruciati, siamo tutti falliti, con i soldi finiti”. L'altra canzone che resta in testa è “Malanga”. Sinceramente io credevo fosse una parola esotica, come “paranza”, il ritmo latino mi ha pure ingannato. Invece è il cognome di un ufologo, intervistato da Red Ronnie (mi son sorbito 47 minuti di intervista per capirlo, ringraziatemi), che sostiene che gli alieni esistono e vogliono la nostra anima, perché loro non ce l'hanno. Se non fraintendo, per Giromini questo è un altro “escapismo”, una fuga dalla realtà: “Vengono a rubarmi la notte, sono loro i cattivi, sono contro di me, girano con le anime rotte, tanto l'anima non sanno neppure cos'è, gliela cercano in camice di sciacallo e di lapin”. Non ho colto il perché della citazione agli “sciacalli e lapin” di Rino Gaetano, ma devo raccogliere i neuroni.

Comunque, dopo “Malanga” arriva “Biglino”, aiuto... “La gloria non c'è, è un'astronave che ci spara laser”! Ahahahah! Il sarcasmo continua nel “Malanga recital”, aperto da una parte recitata da Michelangelo Ricci e il Teatro dell'Assedio: “La realtà non esiste, esiste solo il pensiero (…) no non è uno di quei corsi motivazionali, non serve a focalizzare l'obiettivo, è soltanto un grido d'allarme”. E più flussi di parole si sovrappongono, fino a un'interpretazione folle.

Un tema elegante di flauto invece condisce “Fuga da Sampa (cane e Sert)”, dal tono più serio: “Il problema esistenziale è soltanto di chi ha potuto studiare. L'esistenza cos'è, e chi siamo io e te? Dopo mesi senza ridere e scherzare, ho capito perché non mi fanno lavorare”. Altro pezzo serio e toccante è il “Manifesto metastorico individuale”, dove Giromini, che di storia ci vive, ci rimprovera: “La storia se non la sapete, evitate congetture, evitate le bandiere, soprattutto non mettetevi a sedere su nozioni non sicure come il male come il bene”. Questo testo sarebbe da riportare per intero e rifletterci, ma sto per finire la lunghezza media di durata, non so quanti stiano ancora leggendo, e non ho ancora parlato de “L'odio” né del valzer finale “Il mago di Oz”, con Jonathan Lazzini, dove – orco boia io sforo e chi se ne frega: anche questa contiene parole importanti. “Com'era triste restare chiusi dentro le nostre convinzioni. Avevamo bisogno di nuova linfa, e la cercavamo nei meandri delle solitudini collettive (…) E noi stavamo lì ad attendere una nuova narrazione, ma nel terzo millennio le narrazioni correvano veloci, eteree, impalpabili, tanto più vicine quanto più lontane. “La nuova alienazione era lo sbomballarsi di informazioni, di pensieri degli altri, di eventi lontani da noi (...) che ci rendevano superpensanti qui ed ora”.

L'ipertrofia dell'informazione ci sta facendo male. Se non vogliamo che l'uomo resti “una scommessa a perdere”, possiamo iniettarci l'appuntita scrittura di Davide Giromini. Ci vuole una certa preparazione per cogliere proprio tutto, però è vero che “Quando ascoltavamo Bob Marley eravamo molto più cattivi di quando ascoltavamo i Rammstein”. (Gilberto Ongaro)