recensioni dischi
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ESMERINE  "Everything was forever until it was no more"
   (2022 )

Richiama suggestioni, fotografie, ricordi di un lungo viaggio questo “Everything Was Forever Until It Was No More”, settimo album del collettivo canadese Esmerine, nato oltre vent’anni fa da una costola dei Godspeed You!Black Emperor e tornato a pubblicare nuovo materiale ad un lustro di distanza da “Mechanics Of Dominion”.

Realizzato ancora una volta per la storica label Constellation, vede l’ingresso stabile in formazione (accanto ai membri fondatori – la violoncellista Rebecca Foon ed il percussionista Bruce Cawdron – ed al multistrumentista Brian Sanderson) del bassista Philippe Charbonneau, entrato nel gruppo in via definitiva dopo avere ricoperto il ruolo di turnista nei tour pre-pandemia.

Inusuale ed intrigante ibrido di (poco) post-rock e (molta) musica da camera arricchita e rivisitata, l’album – interamente strumentale, come di consueto - procede elegantissimo con delicate movenze, affidate in prevalenza al piano ed al violoncello, alternando brevi composizioni da due/tre minuti – poco più di abbozzi, idee allo stato embrionale – e lunghi brani più strutturati.

Se i primi dieci minuti mischiano curiosamente Randy Newman e Chopin, nel prosieguo del lavoro si fa strada una musica difficile da ascrivere a qualsiasi filone, tra echi fusion e suggestioni à la Mogwai (“Imaginary pasts”), numeri prossimi al neoclassicismo (“Hymn for Rob”) e contemporanea (“Number stations”).

Fra tessiture soavi e percussioni morbide (“Entropy – Acquiescence”), incursioni in territori limitrofi dai labili confini (“Entropy – Incantation/Radiance/The Wild Sea”, minisuite in tre movimenti) ed un generale clima rilassato e conciliante, vanno in scena quarantatré minuti accoglienti e docili, sempre melodiosi, mai tediosi o cervellotici, un piccolo prodigio di raccolta armonia che veleggia in un mare placido di note distillate, ad un passo dall’estasi. (Manuel Maverna)