recensioni dischi
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QUELLA VECCHIA LOCANDA  "Quella Vecchia Locanda"
   (1972 )

Tra le ristampe più o meno recenti e degne di un certo doveroso e rispettoso interesse vi sono gli album della band Quella Vecchia Locanda, un gruppo romano costituito da sei musicisti molto preparati i quali riescono con abilità ad unire la musica classica con gli stilemi del rock, del folk e della canzone.

L’omonimo album di esordio del gruppo si apre col brano ''Prologo'', il cui inizio è affidato ad un breve e curioso alternarsi di situazioni sonore sospese tra il barocco e il folk per poi confluire in un rock più di maniera ma di genuino fascino.

Segue il robusto rock di ''Un Villaggio Un Illusione'', con un meraviglioso intro che vede protagonista il violino; più in là si odono echi poi non troppo lontani dei Jethro Tull, responsabile il largo impiego del flauto. Il terzo brano ''Realtà'' è un elegante mescolanza sonora caratterizzata da un delicato arpeggio di chitarra, dai contrappunti del piano, dalla raffinata dolcezza del flauto i quali, insieme ad un canto appena sussurrato, si occupano di sorreggere e dirigere questo delicato acquerello di note e melodia.

Raramente nell’album si respira quell’aria solenne o pomposa, forzatamente epica, tipica di tanti (troppi) lavori prog dell’epoca e soprattutto odierni, autoindulgenti all’eccesso fino allo stucchevole, semmai lo spirito “colto” di questa musica risiede nella trasposizione stilistica di cose molto più vicine alla romanza mischiata al folk rock che non alla musica sinfonica. Ed è in ragione di ciò che si può notare con una certa evidenza la propensione del gruppo a proporre un rock progressivo tutt’altro che di maniera, dotato di una discreta originalità.

Certi episodi sparsi qua e là un po’ in ogni brano del disco ci mostrano la notevole grinta della band quando i musicisti si cimentano in partiture tipicamente hard rock. Situazioni a tutto vantaggio dell’intero lavoro che, perciò, si rende vario pur nella sua intrinseca omogeneità espressiva e non si contorce su sé stesso come in una sorta di compiacimento puramente estetico formale dettato da manie di magniloquenza, piuttosto si rende agile, snello ed aggressivo solo quando necessario, capace in definitiva di mettere in campo una freschezza che ancora oggi è facilmente riscontrabile.

''Il Cieco'' si presenta all’ascolto introdotto da un ritmo etnico-tribale improvvisamente surclassato dal morbido mantello di suoni delle tastiere, dei flauti e del violino al quale è successivamente affidato l’intenso finale del brano. Non manca lo strumento principe del prog, il moog, che si occupa di introdurre e caratterizzare ''Dialogo'', brano che si apre pure verso territori fino a lì inesplorati, dove si respira una esuberante vena vagamente jazzata. Uno dei pezzi più significativi dal punto di vista della compenetrazione di diversi e opposti stili è ben rappresentato dal brano ''Verso La Locanda''; qui musica colta, folk, rock e canzone trovano la loro quintessenza applicativa.

Il canto è sempre in bella evidenza, cortese e non urlato, sembra quasi non voler turbare gli equilibri occupandosi semplicemente di declamare versi in perfetta sintonia con le variazioni armoniche.

Il brano finale, ''Sogno Risveglio e…'', si avvale di una forma espositiva che riporta alla mente certa musica da camera riuscendo a trasmettere evidenti sensazioni di serenità; improvvisamente il suono del violino si fa secco e asciutto, un po’ alla “Paganini”, e ci riporta indietro nel viaggio fino a ripercorrere il tema principale con il quale hanno preso il via le danze (''Prologo''). L’epilogo è affidato alle languide note del piano che trasmettono una dolce sensazione di pace e di armonia.

Un grande esempio di musica ad alto contenuto emotivo, dal grande valore artistico, dai testi decisamente validi ed interessanti. Quella Vecchia Locanda nel 1974 pubblicherà un altro album dal titolo ''Il Tempo Della Gioia'', di ottima fattura ma un tantino al di sotto dell’omonimo esordio. (Moreno Lenzi)