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MUSEO ROSENBACH  "Zarathustra"
   (1973 )

Di recente sono stati ristampati in vinile colorato alcuni album di prog italiano anni ’70, molti dei quali assai conosciuti dal grande pubblico in quanto all’epoca ebbero un discreto successo, altri un po’ meno noti e non solo per i non avvezzi alla materia ma pure per gli appassionati del genere.

Tra questi vi è ''Zarathustra'', uno dei grandi capolavori del progressive italiano, forse non eccessivamente originale ma comunque caratterizzato da una esplosiva e sempre ben controllata solennità espressiva che non scade mai nel compiacimento fine a sé stesso, né nell’emulazione statica e passiva di certe proposte d’oltre manica. Ciò rende le composizioni dell’album perfettamente in equilibrio tra il sound tipico del prog di quell’epoca ed una personalità artistica facilmente identificabile.

Il gruppo ligure muove i primi passi sul finire degli anni ’60 esibendosi prima con il nome di La Quinta Strada e successivamente come ''Inaugurazione Del Museo Rosenbach'', dedicandosi alla proposizione di cover e di una musica prevalentemente rock blues. Ridotto il nome, il gruppo viene ingaggiato dalla Ricordi che nel 1973 pubblica il loro primo album al quale ne seguiranno altri in anni più recenti a seguito di una reunion della band.

In tutti i brani che compongono questo grande lavoro si respira un’aria di granitica solidità, ed i cambi di ritmo e di atmosfera avvengono con una linearità di esecuzione davvero esemplare, tale da non compromettere l’omogeneità delle difficili partiture musicali.

L’album segue il classico sviluppo del concept, tutti i brani e gli episodi sono legati da un unico filo conduttore ispirato all’opera del filosofo tedesco Nietzsche incentrata sulla teoria del superuomo. Le tematiche trattate e la copertina dell’album, nera e raffigurante un collage di immagini tra le quali spicca una foto di Mussolini, creò non pochi problemi al gruppo che, in quel particolare clima sociale degli anni ’70, fu addirittura tacciato di propaganda reazionaria.

In ogni caso, al di là delle interpretazioni soggettive più o meno superficiali, strumentali e/o fuorvianti, per questo sicuramente necessitanti di approfondimento, resta il fatto che i Museo Rosenbach hanno realizzato un album ricco di ottime intuizioni, caratterizzato dal predominio delle tastiere e dalla intrigante e robusta vocalità del cantante Stefano Galifi.

I quattro episodi, divisi i sottotitoli che compongono l’album, si susseguono agilmente, caratterizzati da una sezione ritmica potente, inesorabile e sempre pronta a cimentarsi in improvvise e difficili variazioni di tempo in perfetto stile del miglior prog. Molto efficace e coinvolgente il brano di apertura ''Zarathustra il Superuomo'', introdotto da deliziosi interventi di tastiere e chitarra che preludono ad una solenne esplosione di fuochi d’artificio dove ben si destreggia l’agile drumming del compianto Giancarlo Golzi, negli anni a venire batterista nei Matia Bazar.

Il frenetico susseguirsi di policromatiche atmosfere fa sì che i vari temi sonori e le armonie si contaminino, si scontrino, si compenetrino, si agitino in un mare di note in perpetuo movimento fino a sublimarsi nel lungo e sinfonico finale, il quale ci introduce con irresistibile fascino a godere della bellezza di tutti i seguenti brani dell’album.

L’energica pioggia di suoni del terzo brano, ''Della Natura'', pare offrire nuova linfa vitale alla melodia che riesce pertanto a combinarsi perfettamente con i ritmi sostenuti e mutevoli della sezione ritmica così da formare un legame armonico di grande effetto. L’album si chiude degnamente con ''Dell’Eterno Ritorno'', dove ai fraseggi hard si contrappongono trame sonore dense di un lirismo sofferto ben interpretate dalla prestanza vocale di Stefano Galifi.

Con un pizzico di Genesis, qualche dose di Banco Del Mutuo Soccorso e Premiata Forneria Marconi e, lasciatemi dire, con una personalità artistica assolutamente riconoscibile ed unica, i Museo Rosenbach riescono ad ottenere la loro personale mistura fatta di rock e melodia mediterranea che ancora oggi, a distanza di anni, riesce ad affascinare. (Moreno Lenzi)