OMAR CODAZZI "Occhi"
(2022 )
Nella galassia del liscio, abbiamo incontrato a volte spiriti d'avanguardia, come quello degli Extraliscio. Ma quello più tradizionale non si è mai fermato. Che poi “liscio” è un termine-ombrello: ci sono così tanti sottogeneri che un forestiero come me ci si perde; c'è la casa base della riviera romagnola, le influenze del Sud, gli innumerevoli prestiti dalla tradizione bavarese, dall'est Europa e dall'America Latina. L'unica cosa che il forestiero nota, è che nelle basi c'è l'onnipresente “strings” delle tastiere, quel suono di orchestra sintetica, che ormai è la firma di riconoscimento.
Omar Codazzi è rappresentante di lunga data di questo variopinto mondo, dal 1996. Però, con tutti i limiti che il genere esige, il nuovo album “Occhi” è abbastanza vario. Presenta 16 canzoni che faran felice il suo target, che probabilmente è maturo, come canta Omar ne “La stessa mela”, brano romantico che evoca i ricordi di una felice vita di coppia: “E adesso che il tempo è al suo giro di boa / e sotto il cappello capelli di neve / sopra le spalle quel po' di follia / cosa vuoi che sia?”, su una melodia che al “lalalaaa” sa tanto d'Alpi.
In più canzoni, come la ballata in 6/8 “Occhi”, ci sono gli assoli di chitarra elettrica, fatti con quello stile drammatico-eroico che piaceva anche al chitarrista di Marco Masini. La voce di Codazzi indugia qua e là in vocalizzi, specie nelle cadenze, quando si arriva alla quinta pre-(o fine) ritornello. Ma non eccede mai, non diventa proprio neomelodico napoletano. Anzi, quando fa quel leggero graffiato, come in “Aspettavo te” (canzone sul lieto arrivo di una figlia), ricorda un po' Mango. Quindi sì, folklore, ma anche influenze pop. “La bellezza di una donna” invece ci porta nella cumbia, così come “Bastardo amore”, due canzoni dal testo opposto: uno che guarda incantato alla donna idealizzata, mentre l'altro porta rancore verso una femme fatale.
Poi, come da tradizione, arrivano le canzoni romantiche-ma-marpione, quelle dell'uomo che corteggia la donna, raccontandole che è innamorato perso; come “Dimmi di sì”, che però è talmente spudorata che sembra celare ironicamente della disperazione: “Penso che ormai nessun'altra sia come sei tu (…) io lo so che magari non credi a questi pensieri / ma ti giuro che non li pensavo neanch'io, fino a ieri (...) dimmi di sì, almeno tu dimmi di sì!”. Ma come almeno tu?
L'altra canzone da latin lover, meno disperato, anzi che descrive un uomo con più sicumera, è “Muri di roccia”, sopra un ritmo cavalcante: “Apri la porta ai miei occhi e lasciali entrare! Lascia che questa mia bocca ti possa scoprire! Usa le mie braccia per affrontar le paure, che come muri di roccia ci separano!”. La melodia ha un certo trasporto, ma quella più d'impatto è “La storia tra di noi”. Che se non fosse per la lingua italiana e quei famosi strings di tastiera detti sopra, potrebbe essere tranquillamente un lento rock di Bon Jovi. Anche se il pathos, il senso drammatico e teatrale, è tutto nostrano.
E si continua così, tra amori felici e tribolazioni, tra fisarmoniche e chitarre, fino a “La mia solitudine”, che ammicca di più alla dance, con tanto di suono da discoteca. Ma l'ambiente di questa musica resta sempre la balera, evocata nel brano di chiusura “Alla tua”, dove Codazzi brinda alla liberazione da una relazione zavorra: “Faccio un salto giù in balera, spero non ti incontrerò”. Dunque, siore e siori, pettinate i vostri capelli di neve e salite in pista! (Gilberto Ongaro)