recensioni dischi
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VISIONOIR  "The second coming"
   (2022 )

Ben ventiquattro anni fa, nel 1998, iniziava il suo cammino il solo project di Alessando Sicur, Visionoir. Sono passati tanti anni ma il polistrumentista e mente di questo progetto non ha realizzato troppa musica, perchè di fatto questo è solo il secondo album della sua carriera, ma ci sono persone che preferiscono forse curare la propria arte nei minimi dettagli e non lasciarsi prendere dalla fretta, magari anche aspettando il momento più proficuo per mettere nero su bianco ciò che hanno in mente. Ed è proprio così che appare la musica di Visionoir. Calcolata, varia, colorata e pennellata in maniera impeccabile, e con una esecuzione che lascia intravedere le qualità compositive e tecniche molto elevate di cui è dotato questo artista.

L'album è una sorta di ponte fra tre generi, di base: la darkwave, il doom metal e l'avantgarde metal. Ciò che ne scaturisce è un prodotto interessantissimo e molto emozionante, un qualcosa che non capita spesso di sentire. Se avete amato i Pink Floyd, i King Crimson, i Black Sabbath e i Rush, sappiate che la base più progressiva e doom parte proprio da lì, fino ad arrivare ai giorni nostri e a band come Porcupine Tree, Devin Townsend e Solefald. Insomma ce n'è per tutti i gusti. "Lost in a Maze", "Breathless" e "The Snooping Shadow" aprono con fragorosa vittoria questo album, tre brani che dimostrano forse il lato più metal di questo album. Lato che di certo non termina qui, ma direi che in questi tre brani molte delle sperimentazioni che avverranno soprattutto nella seconda parte dell'album con pezzi come "Horror Vacui", "No More" e "They Speaks By Silences", sono meno presenti.

Poi bisogna anche ammettere che non c'è proprio da annoiarsi in questo album, perchè dopo una badilata doom come "No More" arriva una traccia che deve parecchio alla darkwave (elemento che citavo in apertura), ovvero "Born Like This". "Silent Sea" è invece una traccia anomala, oserei dire "spaziale", ovvero dall'atmosfera rarefatta e futuristica che mi ha ricordato scenari fantascientifici. E in chiusura la title track, dove finalmente sembra di trovare un briciolo di pace dopo quasi un'ora di martellamenti prog/doom/avantgarde/experimental metal! Un disco in definitiva ottimamente costruito, molto ragionato e calibrato per non cadere nel facile tranello del "troppa carne al fuoco". Qui tutto funziona alla grande, e il merito è soprattutto di questo strabiliante musicista dal nome Alessandro Sicur. (Lorenzo D'Antoni)