recensioni dischi
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A VIOLET PINE  "Crown shyness"
   (2022 )

Già più volte presenti su queste pagine con i precedenti lavori, A Violet Pine sono una band originaria di Barletta; attivi da oltre due lustri, ritornano a tre anni da “Again” con le otto tracce inedite di “Crown shyness”, quarto capitolo di una discografia sempre in grado di rimescolare le carte riservando svolte imprevedibili.

Refrattaria a qualsiasi classificazione, la scrittura di Beppe Procida, Francesco Jacopo Bizzoca e Paolo Ormas segue traiettorie impronosticabili, guidata dall’istinto lungo percorsi mutevoli e mai lineari; si sposta con nonchalance tra generi e sottogeneri sfuggendo a categorizzazioni di comodo, paragoni, mode varie, tendenze, riferimenti. Che ci sono eccome, intendiamoci: ma mischiati, alterati, frullati, rimasticati e poi plasmati in fogge che hanno tutti i nomi e nessun nome.

Lontano da “Again”, lontanissimo sia da “Turtles” che da “Girl” – già così distanti tra loro – “Crown shyness” reimpasta tutto per l’ennesima volta, mescolando le bordate tardo grunge dell’opener “Rain” ed il passo stoner della pesante e ossessiva “Rust”, il crescendo elettrico che scuote dal suo languido torpore i sei minuti e mezzo di “Us” ed il battito kraut dello strumentale “Moz #”, le dissonanze à la Low Pop Suicide di “Am I there?” e le derive post-rock nascoste tra le pieghe di “Heaven in my desire”.

Ma non è mai davvero grunge nè stoner, nè kraut nè post-rock: è una forma d’arte a sè fatta di mille idiomi, rielaborati in un linguaggio che è una babele sonora. In cima alla torre, la tensione compressa e rilasciata di “Buildings”, sublimata nella frase di chitarra che per due minuti la strazia fino all’epilogo, preludio a sua volta ad una “All these ghosts” che caracolla dimessa in equilibrio precario sul nulla, con l’ultimo arpeggio lasciato a risuonare a mezzaria, promessa della prossima metamorfosi. (Manuel Maverna)