recensioni dischi
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GOODBYE, KINGS  "The cliché of falling leaves"
   (2022 )

Estremamente più complesso, sfaccettato, profondo e stratificato rispetto al già brillante "A moon daguerreotype" (2019), “The Cliché Of Falling Leaves” ripresenta su etichetta Overdrive l’ensemble milanese Goodbye, Kings in una veste sì memore di dieci anni di lavoro certosino su atmosfere e tessiture, ma anche capace di travalicare stilemi e trappole imposti dai pur labili confini di un non-genere adorabile.

Se quello del suo predecessore era un tentativo – ragionato, colto, elaborato – di plasmare in fogge inusuali rimembranze di un post-rock sui generis, qui siamo in presenza di una costruzione concettuale ancor più coraggiosa e spinta che amalgama in un milieu indefinibile brandelli di contemporanea, musica da camera, piccole pennellate di jazz, neoclassicismo, suggestioni avant.

Sempre più avulsi dai percorsi che congiungono sperimentazione e comune sentire, vanno in scena quarantatré minuti interamente strumentali occupati da un’unica lunga suite in cinque movimenti, distante anni luce dalle concessioni all’uditorio che rendevano "A moon daguerreotype" un articolato compendio di avanguardia for the masses.

In un tripudio di incatalogabile rarefazione che relega le chitarre sullo sfondo fino quasi a vederle scomparire, il processo di astrazione viene a tratti esasperato, mentre altrove cede il passo ad una morbida declinazione di melodie ampie, sebbene arzigogolate; dal cupo violoncello che strazia “Part I. Autumn” alla sinistra incombenza di “Part IV. Summer”, dalle sontuose aperture di “Part III. Spring” al pulsare più convenzionale del basso nell’incipit di “Part II. Winter”, ogni tortuosa, inattesa divagazione rimane ad aleggiare a mezzaria come uno spettro quieto, disegnando traiettorie non convenzionali a metà strada tra Michael Nyman e gli Aquaserge.

Vestigia di ciò che fu restano disseminate ad arte nei quindici minuti della conclusiva “Part V. Autumn...again”, subdola ed insinuante in un crescendo non lineare, a sua volta inghiottito da un finale che richiama con decisione – questo sì - gli ultimi GY!BE, degno suggello ad un lavoro di mirabile spessore, opera che sembra non forzare mai la propria pur evidente alterità, ammantando il rebus di una provvida naturalezza. Intrigante, nonostante la soluzione rimanga lontana. (Manuel Maverna)