recensioni dischi
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LA JUNGLE  "Ephemeral feast"
   (2022 )

Diretti, frontali, cattivelli, acidi e dispettosi, Jim e Roxie sono i La Jungle, duo belga al quinto album con le dieci tracce inedite di “Ephemeral Feast” su etichetta Stock Records/Black Basset/À Tant Réver du Roi/Rockerill.

Ibrido e infido, intimamente piuttosto incline ad una sottile aura di malcelata violenza, il lavoro si mantiene fedele alla linea dei suoi predecessori nel solco di una ubriacante mistura di psytrance, techno leggera, kraut-rock 2.0 e derive post-qualcosa che creano una stordente amalgama trafitta da vocalizzi, urla sguaiate, campionamenti e trucchi di ogni sorta, alla costante ricerca di tessiture ipnotiche in un clima generale di sinistra incombenza.

Sospeso su un esile filo che congiunge elettronica e brandelli di rock decadente, indulge in gran parte a subdoli movimenti memori dell’operazione concettuale dei Prodigy, di rado flirtando con sonorità più aspre ed abrasive (“No eyes”, “The lake”) o con vestigia del post-punk primigenio dei P.I.L. (“Hallow love?”), spesso prediligendo brevi accenni di testi smozzicati a liriche vere e proprie e privilegiando un groove malsano rispetto allo sviluppo melodico dei brani; il mood malevolo ed opprimente è amplificato ad arte dal ricorso a pattern ossessivi, talora replicati con intento mantrico fino a produrre un effetto mesmerico tanto avvolgente quanto straniante, accresciuto a tratti da un’incalzante percussività tribale (“De Verna”) e da un forte accento sulle dinamiche.

Emblematici i nove minuti e mezzo della conclusiva “VVCCLD”, costruiti a passo motorik attorno ad un unico giro reiterato all’infinito e attraversato da un lallare narcotizzante a metà strada tra Amusement Parks On Fire e Infected Mushrooms, forse la sola possibile conclusione di un incubo a tinte fosche, compendio di musica ostile ed astiosa che invita a danzare sull’orlo del precipizio. (Manuel Maverna)