SIMONE DE SENA "Cronache del dono e della maledizione"
(2022 )
Il violoncello come protagonista, ma teatro, elettronica e rap come accompagnatori. “Cronache del dono e della maledizione” è questo. Uscito per Promu Label, questo lavoro di Simone De Sena raccoglie musiche di diversi autori per il proprio strumento (Perttu Kivilaakso degli Apocalyptica, John Zorn, David Wilde, Giovanni Sollima, Mark Summer), e li alterna ad un recitato: il monologo di un serial killer sociopatico, che racconta la propria storia, la propria condanna, e il cancro (definito “una noce nel cervello”), che gli permette di finire i propri giorni ai domiciliari. Il controverso personaggio è interpretato dal rapper Esdì.
Le musiche scelte sono di compositori contemporanei. Eccezione è un tema famosissimo, “La follia”, la cui origine si perde nel tempo e nello spazio. Esiste una “folia” spagnola, una francese, una inglese. L'interpretazione più nota è quella di Vivaldi. La versione di De Sena sta al centro del disco, ne è un po' il fulcro dell'esperimento, oltre ad essere la traccia con più ospiti: Esdì, Whitenoise28, Lebby J, Marain Marais. Il basso continuo è affidato ad un synth bass, e si alternano un momento rap ad uno addirittura trap, con tanto di autotune e voci pitchate. Il racconto del terrorista è alternato al recitato delle prime strofe della Divina Commedia.
Dante, Vivaldi, un terrorista che, fatalità, sta per morire a 33 anni, un'età che non può essere casuale. Anche perché, dopo l'introduzione di “Ultimi istanti”, dove il protagonista ci informa che sta vivendo i suoi ultimi attimi di vita, nella tracklist arriva “Psalm” di Kivilaakso. E' evidente il parallelo tra Gesù Cristo, e questa specie di Joker di noialtri, che con un attentato a un centro commerciale ci vorrebbe dimostrare che la tecnologia non ci salva “dall'inevitabile”. Il delirio di onnipotenza è tipico dei sociopatici, e infatti il nostro protagonista lo evidenzia in “Mi sono ribellato”: uccidendo, ha fatto prevalere “uno degli istinti più nobili”, quello di avvicinarsi a Dio.
Qua e là, De Sena inacidisce il timbro; si può sentire quest'effetto in più brani, ad esempio durante “Kiev” di Zorn, e “The cellist of Sarajevo” di Wilde. In altri brani resta fedele alle intenzioni sonore dell'originale, come in “Lamentatio” di Giovanni Sollima (divertente osservare la copertina di quest'ultimo, con la posa à la The Clash, rovesciando un violoncello al posto della chitarra). Invece, in “Julie-O” di Mark Summer, non eccede nel pizzicato, rimanendo più legato e morbido.
Ma il nostro pluriomicida? Continua in parallelo il suo racconto, chiedendo al medico com'è morire. Prendiamo appunti che questo ci riguarda tutti: “Avrà delle allucinazioni che diventeranno sempre più frequenti, fino a quando il cervello non andrà completamente in corto circuito, e allora si spegnerà”. Quando arriva il momento fatale, “La fine”, la descrizione è accompagnata da battiti cardiaci e il bip dell'elettrocardiogramma. Poi, il nostro antieroe si rivolge direttamente all'ascoltatore, irridendolo, dicendogli che in fondo esistono anche le brave persone. E sardonicamente, parte in sottofondo la musica che tutti noi conosciamo come “quella del circo”, che però in realtà in origine descriveva altro: “Entry of the gladiators” di Julius Fucik.
Ci sono altri spunti di riflessione appuntiti, tra i discorsi deliranti e le svioloncellate, ma non li riveliamo tutti. Il finale del disco è un riadattamento in italiano di “New slaves” di Kayne West, qui diventata “Nuovi schiavi”. De Sena, con lo strumento ripercorre l'arrangiamento del flow dell'originale, mentre Esdì corre spesso e volentieri nell'extrabeat. Il messaggio ammonitore e l'intenzione del progetto sono encomiabili, e poi io l'ho sempre detto, che il tanto bistrattato rap, altro non è che “teatro ritmico”; son felice che qualcun altro ne riconosca questa potenzialità. L'unica cosa però, è che la fusione effettiva si verifica solo in due momenti: “La follia 2.0” e “Nuovi schiavi”. Per il resto, i brani per violoncello e il racconto del “poeta maldito”, restano separati, ognuno nella sua stanza. E' un ottimo punto di partenza; speriamo che al prossimo lavoro gli elementi si fondano in maniera più costante, fino a sintetizzare un nuovo stile. (Gilberto Ongaro)