recensioni dischi
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LEDA  "Marocco speed"
   (2022 )

Da cosa dipendono i margini di miglioramento di una band? Dal cambio di formazione? Dal produttore? Dall’innesto di nuovi strumentisti?

Credo che, nel caso dei maceratesi Leda, ci sia invece un quarto motivo: una maturità raggiunta con lavoro alacre e aumento di padronanza dei propri mezzi, che ha fatto sì che il combo metta in risalto un’evidente evoluzione creativa nel secondo album “Marocco speed”, impacchettando 9 brani di pregevole alt-rock, dark-synth wave, con rigagnoli pop, richiamando certe godurie d’ascolto propinati da Marlene Kuntz, Depeche Mode, Scisma e spolverate di Massimo Volume.

Inoltre, la singer-leader Serena Abrami apporta quel tocco di eleganza e magnetismo risolutivo che ne perfeziona le bordature progettuali, con un collettivo che l’appoggia con pertinenza assoluta.

I ragazzi svelano i contenuti con la dolce e nevrotica “Il politicante”, mentre “Niente è lo stesso” fa parte del trittico dei singoli adescati, insieme a “Insonnia” e la titletrack. Il primo, veleggia con un’aurea filo-ossessivo, il secondo con andazzo oscuro e ferale, mentre “Marocco speed” è quello senz’altro più fruibile nell’immediato, per morbidezza ed ampiezza sonora.

In “Mai” echeggiano graffi di chitarre e placide oasi immaginifiche e, per non farsi mancare nulla, convocano a duettare nientemeno che Paolo Benvegnù in “Tu mi bruci”, episodio che srotola tessuti a cavallo tra velluto e pelcro scritturale. La indie-ballad “Quasi ombra” chiude il cantiere dell’album.

L’alt-rock dei Leda è cosi credibile che i confini italici gli van stretti, in quanto in “Marocco speed” alligna un’opalino stampo internazionale, e proiettarsi oltralpe non sarà più un miraggio per Serena e soci, con le loro scritture emozionali che parlano l’esperanto: lingua universale come la loro musica che traduce forza ed empatia a presa rapida. (Max Casali)